Digiuno
terapeutico
Il Dr. Edward Howell, pioniere dell’enzimologia
alimentare, già negli anni ‘20 osservava che una
dieta terapeutica basata su digiuno e
cibi crudi,
produceva effetti curativi ed un
potenziamento generale della salute a causa
della significativa diminuzione della richiesta
di enzimi digestivi propri del corpo umano. In
questo modo, gli enzimi del
sistema
immunitario erano in grado di aumentare
l’attività di
disintossicazione. I
cibi crudi, quindi, erano in grado di
alleviare il carico del processo
digestivo
dall’organismo in virtù della loro ricchezza
enzimatica,
con conseguente potenziamento del livello
generale di salute.
Purtroppo, i cibi di oggi sono assolutamente
carenti di enzimi a causa dei metodi di
coltivazione su larga scala e dell’impoverimento
dei
terreni agricoli, per non parlare dei
processi di trasformazione e lavorazione degli
alimenti, o del semplice procedimento di
cottura, che non preservano le proprietà
enzimatiche dei cibi.
Peraltro, un cibo crudo
fornisce solo gli enzimi necessari alla
digestione di quel particolare cibo crudo,
e non è quindi in grado di assicurare
extra-enzimi in grado di digerire cibi cotti o
trattati.
Del resto, non è pensabile o consigliabile (dal
punto di vista sanitario) l’assunzione di carni,
uova e fagioli crudi, anche a causa del rischio
di infezioni batteriche, e inoltre molti trovano
difficile digerire agli inizi di questo tipo di
dieta, la grande quantità di fibra presente nei
cibi crudi.
Dato per scontato che la maggior parte delle
persone adotta una dieta con più alte
percentuali di cibo cotto rispetto a quello
crudo si rende sempre più necessaria
l’integrazione con enzimi alimentari di alta
qualità.
vedi:
Digiuno
e Salute +
Digiuno, consigli
+ Digiuno PDF +
Dieta Sequenziale del
dott. Cocca
Terapia del Digiuno:
-
da 1 giorno ogni 15 a 3 giorni al mese, a base
di succo di pompelmo, succhi di limone e succhi
di verdure miste, 15 ml di aceto di mela in un
bicchiere di acqua.
E‘ molto importante
imparare a digiunare almeno per 7 giorni 2 volte
all’anno;
meglio l'utilizzo, durante il digiuno, di
acqua distillata da
bere.
Prima dell’inverno ed alla fine. Vicino o
durante il solstizio d’Inverno ed al periodo di
Pasqua (equinozio di Primavera).
Alle
tecniche di digiuno prolungato bisogna
avvicinarsi per gradi, per cui imparare a
digiunare per 3 giorni è una prima fase. Si può
digiunare anche per periodi di 45 giorni circa,
però è opportuno effettuare questi digiuni
sempre sotto controllo di un tecnico esperto in
digiuni.
In
tutti i casi, fin dal primo giorno si digiunerà
in modo totale o ci si ciberà ESCLUSIVAMENTE di
crudità per un minimo di 3 giorni, mediamente 7
giorni, in certi casi tempi maggiori; oppure si
digiunerà per gli stessi periodi assumendo
solamente LIQUIDI, circa 2 litri di acqua non
gasata.
Oppure centrifugati di verdure crude o di
frutta, brodi estratti da verdure o da cereali
ed integratori alimentari, poi si riprenderà
un’alimentazione di tipo vegetariana, sopra
tutto con molta verdura che contenga cellulosa;
questa alimentazione curativa dovrà comprendere
integratori biologici per aiutare il ripristino
degli equilibri biochimici, ma sopra tutto ogni
giorno all’inizio del pasto principale e per 7 -
15 giorni:
alghe e micro diete + fermenti lattici
appropriati.
Questi
prodotti naturali aiuteranno la flora batterica
gastrointestinale che è sempre disordinata
quando esiste febbre, alterazione termica
viscerale, cioè malattia.
Utilizzare alla sera ed alla mattina una tazza
di infuso di semi di finocchio.
Quando avete dolori strani, nei giorni di
malattia o di digiuno si possono fare diverse
tecniche utili descritte in
Cure Naturali +
Protocollo della Salute.
Comunque se qualcuno volesse cimentarsi in
digiuni prolungati, è bene iniziare con una
settimana a base di sola frutta cruda; questo
per preparare l’intestino a periodi di minor
lavoro. Durante i digiuni è indispensabile bere
molta acqua temperatura ambiente o tiepida,
pura, senza cloro, in quantità giornaliera di
almeno 2,5 litri, in quanto il corpo tende a
disidratarsi e deve lavarsi; oppure si potranno
bere delle tisane depurative o dei liquidi
derivanti da prodotti dell'orto e/o cereali.
Non
potendo più al giorno d’oggi avere acqua pura,
per il grave inquinamento idrico delle acque, si
può ottenere una buona depurazione dei batteri
fino a 25 micron e anche del cloro contenuto
nell’acqua di città, installando un buon
depuratore nella propria casa, facendo bollire
l’acqua, il cloro evaporerà.
Utile e' all’inizio di un digiuno, bere acqua
tiepida, con 1/2 cucchiaino di sale marino
integrale, oppure la propria urina (un bicchiere
al di')
Il digiuno serve anche per conoscere e
risalire alle Cause delle malattie e per poterle
rimuovere se vogliamo ottenere risultati
duraturi, sopra tutto in materia di Salute.
Le
cause quando si è malati, si possono conoscere
facilmente attraverso la tecnica del digiuno
prolungato per almeno 7 giorni, in quanto essa
permette di trovare attraverso le varie
eliminazioni, che intervengono sempre nel corso
dell’attuazione della tecnica, la concausa
primigena che corrisponde all’ultimo dolore o
fastidio avuto prima di sentirsi bene, nel corso
del digiuno. Oltre al digiuno in certi casi è
opportuno per non doverlo allungare nel tempo
oltre ai 7 giorni, effettuare dei clisteri
profondi per almeno i primi 3 giorni come quelli
descritti in
Cure
naturali alla voce
Enteroclismi.
Alla
fine di un digiuno prolungato, si consiglia di
riprendere a mangiare con sola
frutta e verdura cruda;
solo dopo 2 o 3 giorni si riprenderà il
normale regime alimentare di tipo
vegetariano.
Autofagia o
autofagocitosi nelle cellule:
L'autofagia cellulare o autofagocitosi è un
meccanismo cellulare di
rimozione selettiva di componenti citoplasmatici danneggiati.
L'autofagia permette la degradazione e il
riciclo dei componenti cellulari.
Durante questo processo, i costituenti
citoplasmatici danneggiati, sono isolati dal
resto della cellula all'interno di una vescicola a
doppia membrana nota come autofagosoma.
La membrana dell'autofagosoma fonde poi con
quella di un lisosoma ed
il contenuto viene degradato e riciclato.
(NdR: Con il Digiuno
si ottiene proprio anche questo meccanismo e SENZA
farmaci)
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Il digiuno guarisce veramente dal
tumore/cancro !
?
Introduzione alla “Nuova Igiene Naturale”,
“New Natural Hygiene”
Ma il digiuno guarisce veramente ?
È una domanda che mi viene rivolta “molto”
spesso, sono anche “digiuno/terapeuta” e nel
1984 ho fatto una esperienza di 30 giorni di
digiuno …. non posso rispondere affermativamente
per più di un motivo..
Si.. il digiuno non guarisce.. il digiuno è un
mezzo, uno strumento. La Ferrari ad esempio è un
mezzo potente e veloce, forse uno dei più veloci
per arrivare a Milano, partendo da Napoli, ma
possedere una Ferrari non ci garantisce
assolutamente il raggiungimento dell'obbiettivo.
La Ferrari bisogna saperla guidare, conoscere profondamente le sue
potenzialità, caratteristiche ecc,, la Ferrari è
solo un mezzo, uno strumento, come lo è il
digiuno.
Chi di voi affiderebbe una Ferrari a un ragazzo o ad un
neopatentato ?
Il digiuno è uno strumento, un mezzo che possiamo utilizzare
per ottenere risultati strabilianti; ma non
basta la lettura di qualche libro per diventare
degli esperti.
Se mal gestito, il digiuno è pericoloso quanto una Ferrari
mal guidata.
Generalmente si pensa che è il digiuno ad essere
“terapeutico” , invece è l’organismo vivente
che ha la possibilità di utilizzare un potente
strumento qual è il digiuno, per attuare il
processo di disintossicazione e ristrutturazione
,sia fisica che mentale …
Il digiuno è un potente strumento per raggiungere
“l’obbiettivo”, ma ricordarsi che la finalità è
l’obbiettivo, e questo si raggiunge meglio,
quando il digiuno è utilizzato in sinergia che
con altri strumenti della Nuova Igiene
Naturale.
Il digiuno guarisce !!! .. guarire da cosa.. con
il termine “guarigione” generalmente si
intende, sconfiggere debellare le malattie o
nel migliore dei casi recuperare la salute.
Penso che prima di pensare di guarire o
combattere questa “malattia” chiamata “tumore”
o” altro”, dovremmo comprendere cosa è la
malattia
… cosa è il tumore..
La maggior parte delle persone molte volte non
sa che con il termine “malattia” in realtà
diamo un giudizio su sintomi, comportamenti,
processi..
Con il termine “malattia” si da “generalmente”
un giudizio “negativo”, cioè non favorevole a
sintomi , reazioni, comportamenti , processi,
ecc. del nostro organismo.
Nella Nuova Igiene Naturale il primo assunto è che la
salute è la condizione “normale” dell’organismo.
La malattia, intesa come corredo sintomatologico,è
interpretata come una
strategia dell’organismo per ritornare ad uno
stato di salute ottimale, una scelta
vitale e fisiologica finalizzata alla
sopravvivenza.
La malattia è chiamata Ortopatia (dritta malattia) o Eupatia
(giusta malattia) per darle una connotazione
funzionale.
Una volta lessi un articolo in cui il dr.H. Schelton
rispondeva in questo modo ad una signora che
stava visitando: Signora ringrazi il suo
cancro, se non avesse avuto il cancro, penso
sarebbe già morta..
Restai perplesso, Shelton molte volte ribalta il modo il modo
di pensare comune.. Mi sembrava una
provocazione, ma forse era molto di più
Poi questa notizia..
In esperimenti su topi cancerosi, la Kousmine (C. Kousmine e
M. Strojewski-Guex “Oncologia”, 1959
volume 12 pag 70/78) dimostra che i tumori in
topi di razza pura (RIII), il tumore ha un
effetto protettivo.
Il tumore aumenta la resistenza di questi animali
rispetto ad avvelenamenti..
La Kousmine afferma che è come se il tumore abbia un effetto
disintossicante, e rispetto ai tessuti da lei
analizzati solo “il fegato è dotato di un potere
simile, anzi leggermente superiore”..
So che per la maggior parte delle persone è difficile
spezzare l’associazione tumore/morte, ma è in
realtà questa associazione a determinare molto
spesso, reazioni nell’organismo, non funzionali
per la vita.
Ricordo di una inchiesta, su persone “guarite” da malattie
considerate incurabili, in cui si affermava, che
non era tanto il modello terapeutico, a fare la
differenza, ma le 2 convinzioni che avevano in
comune tutte le persone “guarite”.
1) -
Fiducia nella guarigione
2) -
Fiducia in quello che stavano facendo.
Avere queste 2 convinzioni non da la sicurezza della
guarigione, ma è la condizione di partenza per
poter giocare la propria partita con la vita.
Penso che sia utile dividere la “malattia”, dai giudizi
…sulla malattia..
Con il termine di diagnosi si vuole dare una etichetta (sul
cosa si ha .. quale malattia ??), con la
prognosi, quali sono le previsioni su quella
etichetta, mi domando molte volte come fare a
liberarsi dal potere di alcune parole "diagnosi"
rispetto a quale modello di riferimento,
"prognosi" (previsioni), chi le ha fatte e in
che modo;
mi piacerebbe avere prognosi (previsioni) su..
- cosa succede se la “malattia” non viene ne diagnosticata ne
ovviamente trattata;
- cosa succede se dopo la “diagnosi” la persona decide di
affidarsi al destino o alle forze della natura;
- cosa succede se dopo la diagnosi … se è trattati da modelli
terapeutici non convenzionali.
A prescindere che siano riconosciuti solo dallo “stato” o
solo dal cliente (molte volte anche molto
paziente).
Ad un convegno di Igiene Naturale un relatore sorridendo
affermò:
- Quando
un medico vi dice che con quel “tumore” avete
solo sei mesi di vita, in realtà vi sta dicendo,
che per quello che sa, se in quella “patologia”
utilizzate la terapia consigliata
“convenzionale”,
sopravvivrete se va bene sei mesi.. se fate altro, non abbiamo
esperienza.
Il dott. Kaki Sidwa Igienista e Naturopata
Inglese un Giorno mi confidò che nella sua
clinica “Shalimar” sono passate migliaia
di “malati” terminali, per digiunare, fare
cure di frutta trattamenti chiropratici, ecc.
Ha avuto in 40 anni 4 decessi, 4 processi e 4
assoluzioni.. gli sarebbe piaciuto che almeno
anche le cliniche “allopatiche”
avessero lo stesso trattamento.
Rispetto alle convinzioni rispetto le malattie ricordo ancora
un episodio avvenuto quasi 20 anni fa, che ha
cambiato radicalmente il mio modo di
relazionarmi con le cosiddette malattie..
Era di sabato e stavo facendo una passeggiata con un gruppo
di amici, un mio collega psichiatra e
appassionato di PNL (programmazione
neurolinguistica), mi domanda il perche' del mio
umore, leggermente cupo; gli spiego che il
lunedì ho un appuntamento con un cliente, con la
cirrosi epatica, e dal momento che è una
malattia “cronica degenerativa irreversibile” ..
e non vi più niente da fare … non so come fare
per aiutarlo..
… mi guarda divertito e mi dice - come fai a sapere che
non vi è più niente da fare - pensavo mi
volesse “sfottere” (prendere in giro), ma
sto al gioco e gli rispondo garbatamente – è
scritto su tutti i libri di medicina e anche tu
dovresti saperlo - mi risponde che sui libri
è scritto altro, ribatto che ero stato
tutta la notte sui libri e vi era scritto
proprio che era una malattia (incurabile)..
…e dopo qualche altra scaramuccia verbale la risposta
“illuminante”..
Sui libri di medicina vi è scritto che alcuni
“medici” anche molto “bravi”, hanno avuto in
“terapia”, diverse persone con una diagnosi di
cirrosi epatica, e con le loro cure anno avuto
certi “risultati”
Ma è la loro storia di chi ha abbracciato quel modello … e sono i
risultati di quel modo di procedere, che trovi
scritti sui libri di medicina; ma non vi è la
storia del tuo cliente e di quello che succede
utilizzando dei presupposti diversi e procedure
diverse.
Comprendere che il futuro di ogni “malattia” non è stato
ancora scritto, e lo scriviamo noi con le nostre
convinzioni e azioni, forse ci può ridare
una grande libertà..
Ma allora cosa fare quando si è “malati” ??
dipende ..
Dire che ogni forma di trattamento è quella
giusta per il malato, sembra assurda, eppure è
vero egli viene sempre curato bene, in ogni
circostanza, sia che si seguono le regole della
scienza, sia che ci si affidi alle arti di un
guaritore di campagna.
Il successo non dipende dal fatto che le
prescrizioni si conformino a determinati
principi terapeutici , ma dal modo con cui l’ES
del paziente si serve di tali
prescrizioni........
G. Groddeck ..il libro del’ES.)
Prima di tutto essere in sintonia con il
cliente, e poi comprendere cosa fare .. E può
essere utile utilizzare il diagramma da me
leggermente modificato del dott. Tilden I
ll dott. Tilden ha elaborato un diagramma per
spiegare l’origine della
Tossiemia e delle
cosiddette “malattie”, diagramma che andrebbe spiegato dettagliatamente in ogni passaggio:
- Convinzioni,
abitudini e
comportamenti
-
Stile di vita
- Tensione, fisica, mentale ed emotiva
- Indebolimento (enervazione)
- Eliminazione tossiemica insufficiente attraverso
-
Polmoni, fegato,reni, pelle intestino ecc.
- Ritenzione degli scarti metabolici
- TOSSIEMIA
-
Crisi di
disintossicazione
-
Reazioni di malattia
acuta
- Condizioni cronico degenerative
Questo spiega solo una delle possibili
cause della
"malattia"
(ammalamento qualsiasi), ma se ben utilizzata può
risultare veramente utile per avere una visione
sistemica .
Quelli che chiamiamo sintomi o malattie sono
solo dei programmi biologici sensati finalizzati
alla sopravvivenza, ma il fatto che siano
finalizzati alla sopravvivenza, non implica che
siano sempre efficaci, la sopravvivenza è
l’intenzione del programma, ma l’effetto può
essere devastante se non gestito in modo
efficace.
Nella Nuova Igiene Naturale non si pone “tutta”
l’attenzione alle “malattie” , ma a ciò che le
determina …. la tossiemia, la cosiddetta
“terapia” è incentrata su ciù che ha concorso
all’aumento della tossiemia e…
a tutto ciò che ha determinato una diminuzione
“dell’energia “, cioè ad abitudini
alimentari, stile di vita errati, ecc…
Il digiuno o le cure di frutta, in questo
contesto sono utilizzate principalmente per
mettere a riposo l’apparato digerente
dell’organismo, e le attività “relazionali,
per fare in modo che le energie dell’organismo
siano finalizzate quasi esclusivamente al
processo di “disintossicazione”
e disinfiammazione,
guidate da quella che in
omeopatia viene
chiamata la vis medicatrix naturae..
Ma alla base di tutto vi sono le “convinzioni”.(
sulla malattia, su se stessi, sul futuro, sulle
proprie capacita ecc.
Le convinzioni determinano gli stati d’animo, i
comportamenti, il nostro modo di interagire con
il mondo.
Molte volte anche lavorare quasi
esclusivamente con convinzioni limitanti porta
a quella dimensione chiamata guarigione..
(Convinzioni - ediz. Astrolabio - autore R.
Dilds ) Esperienza di R Dilts (uno dei massimi
esponenti della PNL a livello mondiale) la madre
guarita da un cancro con metastasi lavorando
quasi esclusivamente, sulle sue convinzioni
rispetto alla “malattia”, al mondo, alla vita,
ecc..
Nulla è più difficile da vedere di quello che
davanti agli occhi appare”
( J.W.Goethe
- 1749-1832)
Quando una persona è malata è molto importante
non fare niente, ma questo niente bisogna
saperlo fare molto, ma molto bene
(H.M.Shelton)
By Dott. Giuseppe Cocca (medico) + vedi:
Crudismo +
Dieta
Sequenziale
del dott. Cocca
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DIGIUNO
TERAPEUTICO
IL DIGIUNO e’ un metodo molto utile per
l’auto guarigione, la prevenzione, e la ricerca
interiore; questa tecnica e’ parte integrante
della Medicina Naturale:
IL DIGIUNO e’ anche presente in molte pratiche
igieniche e terapeutiche dei vari popoli della
terra e questa tecnica si perde nella notte dei
tempi del passato dell’uomo. E’ presente in
numerosi RITUALI di numerose tradizioni.
IL DIGIUNO TERAPEUTICO FU MOLTO PRATICATO nell’
ETÀ CLASSICA, DURANTE il MEDIOEVO e FINO al
‘600.
Nel XIX SECOLO il DIGIUNO TERAPEUTICO FU
RISCOPERTO e DIFFUSO nel MONDO dagli IGIENISTI
AMERICANI e dai NATUROPATI EUROPEI.
Da un PUNTO di VISTA BIOLOGICO il DIGIUNO PUÒ
ESSERE CONSIDERATO un BIORITMO FONDAMENTALE per
la SALUTE e l’EQUILIBRIO VITALE in NUMEROSE
SPECIE, COMPRESO l’UOMO.
Il DIGIUNO nell’ANTICHITÀ’
Il digiuno come mezzo rituale di purificazione,
di espiazione, di contatto col divino entra a
far parte della terapia in ogni concezione
religiosa o soprannaturale della malattia,
quando cioè essa è vista come conseguenza di
colpe, peccati, come castigo divino, o come
determinata da entità spirituali ostili.
Si può ricorrere al digiuno come mezzo
d'elezione per ripristinare l’integrità
spirituale e il favore divino; per rafforzare
le virtù ed eliminare gli ostacoli e le forze
avverse all'integrità dell’individuo.
Ma anche in una concezione naturalistica della
malattia, intesa come squilibrio delle forze
vitali, la medicina antica ha intravisto nel
digiuno uno strumento straordinario per
riequilibrare le conseguenze di ogni eccesso:
alimentare, sessuale, emotivo ecc.
E questo è probabilmente un retaggio che mostra
come la medicina empirica abbia preso origine da
quella teurgica.
Le radici religiose, spirituali, magiche, della
medicina sono ampiamente rintracciabili nella
medicina sumerica, assiro- babilonese, ebraica,
iranica, egiziana, indiana.
Anche nell’età classica greca e latina, accanto
alla medicina razionale fiorì la tradizione
teurgica e la medicina ieratica, come dimostra
il culto di Asclepio con i grandi templi di
Epidauro, di Coo, di Pergamo che fiorirono dopo
Ippocrate.
Nel tempio di Asclepio ad Epidauro i sacerdoti
officiavano le guarigioni attraverso
l'intervento diretto della divinità che appariva
in sogno e consigliava il rimedio.
I malati ad Epidauro, prima di essere introdotti
a dormire presso l’abaton, dove avveniva l’incubatio,
cioè il sogno profetico durante il quale
appariva il dio per indicare la cura, venivano
purificati con un opportuno cerimoniale del
quale facevano parte abluzioni, diete con
restrizioni alimentari e digiuni.
Se la Grecia ebbe, come tutte le antiche
civiltà, una medicina teurgico-ieratica, fu
soprattutto per l'occidente culla della medicina
fondata sulla razionalità e l'osservazione
clinica.
Con Ippocrate la medicina diviene razionale:
osservazioni precise, sistematiche, accurate,
elaborate in una concezione generale, ma anche
dottrina costituita a partire da assiomi da cui
sono state dedotte affermazioni certe per via
sillogistica.
L’ammirazione dei medici contemporanei per il
pensiero ippocratico è rivolta al suo metodo
empirico, non agli aspetti assiomatici e
deduttivi che sono rigettati dalla
medicina
ufficiale contemporanea
IPPOCRATE (Cos il 460 A.C.)
La dottrina degli
umori ippocratico-galenica
Il fondamento della medicina ippocratica è
umoralistica, ma è errato attribuire la
concezione umorale quale oggi ci è pervenuta ad
Ippocrate, poiché fu essa ampiamente modificata
e sviluppata da Galeno.
Come sia sorto il concetto umorale non è
possibile poterlo definire. Alcuni lo vorrebbero
trovare sviluppato nella scuola siciliana, però
già l’antica concezione medica indiana
riconosceva una crasi umorale. La teoria
umorale può essere comunque considerata derivata
dal pensiero italico: gli umori, nella
concezione ippocratica, infatti conservano le
stesse qualità caratteristiche degli elementi di
Empedocle.
Gli umori sono
quattro:
sangue, flegma, bile gialla, bile nera
o atrabile. Le loro qualità caratteristiche sono: flegma = freddo umido; sangue = caldo umido;
bile gialla = caldo secco; bile nera o atrabile
= freddo secco. Il sangue viene dal cuore, il
flegma dal cervello, la bile gialla dal fegato,
la bile nera dalla milza. Quando questi umori
sono perfettamente equilibrati si ha la crasi (
o eucrasi) che corrisponde alla salute, quando
l'equilibrio è alterato si ha la discrasia, cioè
lo squilibrio, la malattia.
La eucrasi ha
tendenza a ristabilirsi per le forze stesse
della natura, la quale provvede alla "cozione"
dell'umore prevalente.
Per questa "cottura"
(nella quale si può individuare una analogia
con ciò che oggi chiameremmo trasformazione
biochimica, processo metabolico) l'umore si
modifica e si rende atto ad essere espulso, con
le urine, il sudore, il pus, l'espettorato, le
feci ecc.
E' questa l'azione
fondamentale della Vis medicatrix:
trasformazione ed espulsione.
Se la natura non ha sufficiente Vis medicatrix
contro un morbo troppo violento, sopravviene la
morte. Ma perché gli umori si possano modificare
in modo da giungere alla "cottura" completa e
poter essere in fine eliminati, occorre uno
spazio ben definito di tempo.
I giorni critici sono quelli in cui, compiuta la
‘’cottura’’, ha luogo l'eliminazione e la
risoluzione rapida (crisi) della malattia,
oppure la morte se per mancanza di Vis il corpo
non riesce ad espellere l'umore concotto. I
giorni critici, quelli in cui l'umore concotto
prende la via dell'espulsione, indicano quindi
il momento delicato della rapida guarigione o
della morte.
Le ragioni delle
alterazioni degli umori erano varie:
1) intemperie in senso lato
2) la dieta
inadeguata
3) la presenza di miasmi
4) cause
fisiche riposte nell'ambiente naturale,
5) cause
climatiche.
Quindi squilibri comportamenti o
ambientali.
Secondo questa concezione la patologia non è mai
localizzata in un singolo organo ammalato, ma è
da ricondurre ad uno squilibrio generale.
Se l'alterazione
profonda di uno degli umori o il predominio
eccessivo procura la malattia in forma più o
meno grave, la semplice prevalenza di uno dei
quattro umori, conferisce particolari
caratteristiche all'individuo: si viene in tal
modo a costituire il principio dei
temperamenti, nel loro complesso aspetto
somatico e psichico.
I temperamenti
fondamentali sono quattro: sanguigno, biliare,
flemmatico, atrabiliare: alla costituzione dei
vari temperamenti influisce molto l'ambiente
naturale in cui l'individuo vive.
La medicina
ippocratica fidava molto sulla Vis Medicatrix
naturale: l'organismo si difende naturalmente e
tende ad espellere ciò che è nocivo, per questo
per Ippocrate "le forze naturali sono i medici
della
malattia".
La febbre, ad
esempio, veniva considerata utile per ottenere
la guarigione, accelerando il calore i processi
di cottura degli umori peccanti.
La terapia, per
Ippocrate, consiste nel promuovere questa difesa
naturale, aiutando l'organismo a "purgarsi"
utilizzando modi indiretti e blandi, mai mezzi
violenti e squilibrati: se infatti la prima
prescrizione era quella di non nuocere, la
seconda era quella di purgare, nel senso di
indurre l'evacuazione degli umori peccanti,
causa prima ed unica della malattia.
In questa azione
terapeutica sussidiaria della Vis Medicatrix
naturale, la dieta aveva una grande importanza:
tendeva, specie nelle malattie acute, di
assecondare ed accelerare per quanto possibile i
processi fisiologici spontanei i quali, durante
la malattia, erano diretti prima a cuocere e poi
ad espellere gli umori peccanti.
Le diete ridotte e
il digiuno, prescritti soprattutto nelle
malattie acute, erano finalizzati a non
distrarre le forze dell'organismo dalla cottura
degli umori, impegnandoli contemporaneamente
nella cottura (digestione) degli alimenti.
La dieta era in
Ippocrate fondamentale anche per riequilibrare
i temperamenti con la prescrizione di alimenti
umidi, caldi, freddi, asciutti, a secondo del
diverso temperamento del malato oppure a secondo
delle caratteristiche della malattia in atto.
Questi sono gli
elementi fondamentali della teoria umorale della
scuola ippocratica che, ripresa da Galeno, fu
mantenuta in tutta la medicina medioevale.
Il digiuno nei testi
ippocratici
Alcuni studiosi hanno voluto individuare in
Ippocrate il primo medico di cui con certezza si
possa dire che prescrivesse il digiuno.
Dalla lettura dei
testi ippocratici noi traiamo la conclusione che
Ippocrate più che di consigliare il digiuno
sentisse l'opportunità di mettere in guardia i
medici nei confronti dei pericoli derivanti da
un suo uso scorretto, che allora probabilmente
era assai comune.
Nello scritto di
Ippocrate "Il regime nelle malattie acute"
(Ippocrate, Utet, pag. 259) molti passi fanno
riferimento al digiuno che, con la tisana
d'orzo, era il regime più utilizzato dai medici
del tempo nelle malattie acute.
Per Ippocrate il
regime più sicuro durante le malattie acute è la
tisana d'orzo. Ritiene tuttavia che a volte il
digiuno completo possa giovare: quando il
paziente è in condizioni tali da protrarre il
digiuno fino alla risoluzione della
malattia.(crisi)
Se il medico ritiene
il paziente non sia in grado di digiunare fino
alla crisi, è meglio che somministri fin
dall'inizio la tisana d'orzo, piuttosto che far
digiunare nei primi giorni e poi somministrare
la tisana d'orzo o, peggio ancora, altri
alimenti al momento della crisi.
Per i cultori del
digiuno la posizione di Ippocrate è facilmente
comprensibile: essi sanno infatti che la ripresa
dell'alimentazione dopo il digiuno è il momento
più delicato.
E' necessario ri-alimentarsi con cautela,
utilizzando alimenti estremamente digeribili e
in modeste quantità: l'apparato digerente,
inerte per giorni, deve riprendere l'attività
gradualmente, pena grosse difficoltà digestive.
Se teniamo presente
che il momento determinate per la guarigione
era, secondo la dottrina degli umori, quello
della "crisi", grazie alla quale l'umore in
eccesso, opportunamente modificato (concotto)
veniva espulso (momento "critico" perché poteva
evolvere favorevolmente verso la guarigione o
viceversa verso la morte se l'energia vitale non
fosse riuscita a completare l'espulsione
dell'umore "peccans") possiamo capire come la
preoccupazione di Ippocrate fosse quella di non
far coincidere la "crisi" della malattia con il
momento delicato della ripresa alimentare, per
non imporre al corpo una duplice difficoltà da
superare.
L'abilità del medico
consisteva dunque nel saper prevedere il momento
critico e nel valutare correttamente le energie
del malato in modo da farlo digiunare fin
dall'inizio della malattia acuta solo se le
forze fossero sufficienti a sostenere il digiuno
fino alla crisi.
Nell’opera citata
(“Il Regime nelle malattie acute”) il curatore
dell’opera sostiene, nell’introduzione che “I
capitoli dal XXVI al XLVII sono dedicati alla
dimostrazione che il digiuno assoluto é nocivo,
come pure ogni mutamento troppo brusco”.
Poi, al capitolo 48, dove Ippocrate afferma
esplicitamente che nelle malattie acute si deve
passare dal digiuno alle tisane e questo
passaggio non deve essere fatto prima della
concozione della malattia o prima di segni
negativi, mette la seguente nota: “Giustamente
il Jones considera questo capitolo come una
interpolazione: esso infatti contrasta con la
norma ippocratica di somministrare le tisane ben
prima delle crisi.”
Queste
interpretazioni del pensiero di Ippocrate sul
digiuno siano fuorvianti: Ippocrate, lungi
dall’affermare che il digiuno sia sempre nocivo,
cerca di delineare un uso corretto del digiuno.
Riportiamo tutti i
passi del libro che parlano del digiuno affinché
il lettore possa rendersi personalmente conto
del significato del discorso di Ippocrate. I
numeri si riferiscono ai capitoli dai quali i
passi sono stati tratti.
Sembra che in questo
scritto Ippocrate polemizzasse con i medici di
un'altra grande scuola medica, quella di Cnido,
opposta a quella di Cos, che a suo parere
facevano, fra gli altri errori, un uso troppo
ampio e indiscriminato del digiuno.
Dal testo
ippocratico si evince comunque che il digiuno
assoluto era molto praticato come regime nelle
malattie acute e in alcuni casi sostituito (o
seguito) con tisane d'orzo più o meno dense:
cioè con quello che potremmo chiamare un
"digiuno attenuato".
Ecco i passi nei
quali si fa riferimento al digiuno:
(7) ‘’Mi sembra
opportuno trattare qui di quegli argomenti che
non sono ancora ben compresi dai medici, benché
la loro conoscenza sia utile e benché essi
possano comportare o grandi benefici o grandi
danni. Dunque fra gli argomenti non ben compresi
è questo: perché mai nelle malattie acute alcuni
dei medici passano tutto il tempo a propinare
tisane non filtrate, e ritengono così di curare
correttamente, mentre altri si adoperano in ogni
modo perché il malato non inghiotta alcuna
particella d'orzo _ pensano che ne deriverebbe
gran danno _ e quindi somministrano l’infuso
solo dopo averlo filtrato attraverso un panno di
lino; altri ancora non danno né tisane dense né
infusi filtrati, altri non ne danno finché
giunga il settimo giorno, altri infine mai
finché la malattia sia venuta a crisi.’’
Commento:
Ippocrate
sottolinea la mancanza nella prassi medica del
suo tempo di un unico criterio generale,comune
a tutti i medici,nel determinare il regime
alimentare migliore in caso di malattia acuta
Tisane d’orzo non filtrate,tisane d’orzo
filtrate,digiuno completo(né tisane dense né
infusi filtrati) dall’inizio della malattia fino
al settimo giorno oppure fino al sopraggiungere
della crisi:questi erano i diversi regimi
prescritti dai medici.
Ci rendiamo subito conto che pur nella varietà
di scelte emerge un criterio generale: ridurre e
semplificare l’alimentazione, ricorrendo ad un
digiuno completo o a quello che oggi viene
definito digiuno attenuato, diete liquide,
modestissime quantità di cibi semplici, di
facile digestione
(10) “Sembra dunque
che la tisana d'orzo correttamente sia stata
preferita agli altri alimenti cereali in queste
malattie, e approvo coloro che le diedero tale
preferenza.”
(25) “Ritengo
infatti meglio _ in linea di massima _ cominciar
subito a somministrarlo piuttosto che tenere il
malato a digiuno e poi iniziare con l'infuso il
terzo o il quarto o il quinto o il sesto o il
settimo giorno, se nel frattempo la malattia non
è venuta a crisi.”
Commento:
questo
passo va letto attentamente e correttamente
interpretato. Ad una prima lettura potrebbe far
pensare che Ippocrate consideri la tisana d’orzo
il regime migliore in ogni caso,e scorretto
sempre ricorrere al digiuno. In realtà per
Ippocrate l’errore consiste nell’interrompere il
digiuno prima della crisi (iniziare con
l’infuso...se nel frattempo la malattia non è
venuta a crisi).
Come vedremo questo concetto verrà ripetuto e
precisato.
(26) “So che i
medici fanno esattamente il contrario di quello
che si deve: vogliono tutti, dall'inizio della
malattia, far dimagrire i pazienti, con un
digiuno di due, tre o più giorni prima di
propinare le tisane e le bevande: e forse sembra
loro abbastanza naturale, poiché un grande
mutamento ha luogo nel corpo, contrapporvi un
altro violento mutamento.”
(27) “Ora far
compiere un mutamento è vantaggio non piccolo:
correttamente però e con sicurezza si compia .”
(38) “ un assoluto
digiuno talvolta giova, se il paziente è in
grado di sopportarlo finché la malattia, al suo
culmine, venga concotta.”
Commento:
Nei passi
su riportati Ippocrate precisa il suo pensiero:
essendo la malattia acuta un brusco cambiamento,
può essere vantaggioso contrapporvi un brusco
cambiamento riequilibrante, ma questo va fatto
secondo precisi criteri e senza esporre a rischi
il paziente.
Il digiuno, essendo un brusco cambiamento di
regime, può essere utile nelle malattie acute,
ma essendo anche una condizione delicata nella
condizione precaria della malattia, deve essere
effettuato valutando attentamente la patologia
in atto e le condizioni generali del paziente.
In modo particolare
bisognerà valutare due cose:
1) Il giorno in cui si sarebbe verificata la
crisi (Questa previsione era considerata una
delle più importanti ,e vi erano criteri clinici
per farla, ma anche criteri puramente
‘’numerici’’:giorni dispari,il settimo giorno
ecc.)
2) Se il paziente si trovava in condizioni
generali tali da poter digiunare fino a crisi
avvenuta. Infatti riprendere l’alimentazione
prima o durante la crisi sarebbe stato
deleterio, essendo l’organismo interamente
impegnato nell’eliminazione dell’umore in
eccesso e non potendo quindi ,senza pericolose
dispersione di forze,impegnarsi nella
digestione. Ecco quindi perché Ippocrate
afferma:’’un assoluto digiuno talvolta giova, se
il paziente è in grado di sopportarlo finché la
malattia,al suo culmine,venga concotta’’,
essendo la ‘’concozione’’ una specie di
digestione dell’umore in eccesso che , secondo
la teoria umorale, ne permetteva l’espulsione.
(39) “Alcuni cioè,
all'inizio di una malattia acuta, hanno mangiato
cibi solidi il giorno stesso dell'attacco,
oppure nel giorno successivo, o hanno sorbito a
caso una pozione, oppure ancora hanno bevuto il
kykeon (pozione costituita da miele ,formaggio e
vino).
Tutte queste cose sono certo peggiori di
qualsiasi altro regime: eppure un simile errore
commesso in questo periodo si rivela assai meno
nocivo, che se per i primi due o tre giorni si
fosse completamente digiunato, e poi si fossero
presi quei cibi al quarto o al quinto; e ancora
peggio sarebbe se, dopo aver digiunato per tutti
questi giorni, li si fossero mangiati da ultimo,
prima che la malattia fosse concotta.
Questa condotta potrebbe evidentemente a morte i
più dei pazienti, se la malattia non fosse
proprio benigna. Gli errori quindi compiuti
all'inizio non sono così senza scampo, bensì
assai più rimediabili.
Questa pertanto
ritengo una fortissima dimostrazione di ciò, che
nei primi giorni non bisogna privare di una
tisana - quale che sia - quei malati che poco
più avanti prenderanno appunto tisane o cibi
solidi.”
Commento:
In base a
quanto è stato detto, in caso di malattia acuta,
bisogna ridurre il cibo e in alcuni casi la cosa
migliore è il digiuno completo. Chi si nutre con
cibi solidi, o difficili da digerire, come il kikeon, compie un errore. Ma è ancora più grave
se questi cibi solidi si prendono dopo qualche
giorno di digiuno, quando la crisi si avvicina,
o cosa gravissima, addirittura mortale, al
culmine della malattia, appena prima della
completa concozione e quindi all’inizio o
durante la crisi.
L’avvicinarsi della
crisi richiede un alleggerimento del regime, in
ogni caso non si deve assolutamente
aumentarlo:chi digiunava dall’inizio deve
continuare a digiunare.
Se si prevede che un malato dovrà prendere
infusi o cibi solidi dopo pochi giorni
dall’inizio della malattia, non bisogna farlo
digiunare all’inizio: questo è il concetto
ippocratico reso con la traduzione poco
chiara’’nei primi giorni non bisogna privare di
una tisana quei malati ecc’’
(40) “Assolutamente
dunque non sanno, coloro che usano tisane dense,
che a causa di esse peggiorano, se incominciano
a prenderle dopo due o tre o più giorni di
digiuno; così come coloro che usano infuso puro
non sanno che da ciò sono danneggiati se
l'inizio della dieta non è stato corretto.
Sanno invece, e se
ne prendono cura, che è molto dannoso che il
malato mangi tisana densa, prima che la malattia
sia concotta, se è solito prendere infuso puro.”
(41) “Queste sono
dunque tutte forti testimonianze, che i medici
non guidano correttamente i loro malati nella
scelta del regime; al contrario, nelle malattie
in cui non devono digiunare coloro che in
seguito si nutriranno di tisane, li fanno
digiunare, in quelle in cui non bisogna mutare
passando dal digiuno alle tisane, ebbene allora
li fanno mutare.
E per lo più li fanno passare dal digiuno alle
tisane, proprio al momento in cui di solito
giova ridurre la tisana fin quasi al digiuno,
come ad esempio quando la malattia si acutizza.”
Commento:
secondo
Ippocrate un errore comune dei medici del suo
tempo è quello di non saper valutare chi può e
chi non può digiunare dall’inizio della
malattia, o di far interrompere il digiuno nel
momento poco opportuno.
(43) “Né vedo invero i medici esperti di ciò:
come si debba diagnosticare la debolezza nelle
malattie, se derivi dal digiuno, o da qualche
infiammazione, o dal dolore e dall'acutezza del
male; e quali affezioni, nei loro molteplici
aspetti, la nostra natura e la nostra condizione
procurino a ciascuno: benché la conoscenza o
l'ignoranza di tutto ciò comportino salvezza o
morte.”
(44) “Infatti è fra
i mali peggiori, se a chi è indebolito dal
dolore e dall'acutezza della malattia, si
somministrano bevande, o molta tisana o cibi
solidi, pensando che sia debole per il digiuno.
E' vergognoso anche non capire che il malato è
debole a causa del digiuno, e aggravarlo col
regime: anche questo errore comporta qualche
pericolo, molto minore però del precedente, ma
più dell'altro è ridicolo: infatti se viene un
altro medico o anche un profano e capisce quel
che è capitato è dà al malato da mangiare o da
bere - ciò che il primo aveva proibito -, allora
si vede chiaramente come gli ha giovato. E'
specialmente in tali occasioni che la gente si
prende gioco dei praticanti, perché sembra loro
che il medico o il profano sopraggiunti abbiano
ristabilito il malato già quasi in punto di
morte.
Si descriveranno
perciò anche i sintomi relativi a queste
situazioni, in base ai quali ognuna di esse
possa essere diagnosticata.”
Commento :anche in questo capitolo viene
chiaramente affermata l'utilità del digiuno,
tanto che uno degli errori maggiori di un medico
è considerato quello di interrompere il digiuno
quando le condizioni del malato permetterebbero
di protrarlo.
L'errore inverso (protrarre inopportunamente il
digiuno) è meno grave del primo ma più facile da
dimostrare e quindi chi lo compie rischia più
facilmente che si evidenzi una propria
incompetenza.
(47) “Molte volte
maggiore è dunque il danno all'intestino, se
dopo un lungo digiuno improvvisamente ci si
nutre più del normale, che se si passa da
un’abbondante nutrizione al digiuno; e il corpo
stesso, nel suo insieme, se da un lungo ozio
improvvisamente passa ad uno sforzo eccessivo,
molto più ne soffre; d'altra parte, anche il
corpo deve riposarsene: e se questo, dopo un
grande sforzo, subito ritorna alla quiete ed
alla distensione, al modo stesso occorre che
l'intestino si riposi dall'abbondanza di cibo;
altrimenti causerà dolore nel corpo e
appesantimento in ogni sua parte.”
(48)”La mia discussione si è dunque rivolta in
gran parte ai mutamenti, in questo o in quel
senso. Son cose utili a conoscersi per ogni
riguardo, e specialmente perché nelle malattie
acute _ su cui verteva il discorso - si passa
dal digiuno alle tisane: e il mutamento va fatto
come io ho disposto; inoltre non bisogna
servirsi di tisane prima che la malattia sia
concotta o che sia apparso, all'intestino o
all'ipocondrio, qualche sintomo indicante
vuotezza o irritazione, come verrà descritto.”
Commento:
chi ha seguito le argomentazioni di
Ippocrate fino a questo punto si rende conto che
vengono ribaditi e precisati opinioni già
espresse:quando si passa dal digiuno alle
tisane,il passaggio non deve avvenire prima
della concozione e della crisi,a meno che non
sopraggiungano chiari segni che l’organismo non
è più in grado di continuare il digiuno.
Stranamente però a
questo punto troviamo la seguente nota del
curatore dell'opera: "Giustamente il Jones
considera questo capitolo come una
interpolazione: esso infatti contrasta con la
norma ippocratica di somministrare le tisane ben
prima della crisi.
Probabilmente anche il capitolo successivo va
riguardato come un'interpolazione oppure una
nota marginale, avulsa dal contesto’’. Riteniamo
l'ipotesi ingiustificata.
Ippocrate infatti non dice affatto di
somministrare sempre le tisane prima della crisi
bensì che
1) quando si ritiene che il malato non possa
digiunare fino alla crisi, è meglio non farlo
digiunare e dargli orzo fin dall'inizio. (vedi
capitolo 25)
Il digiuno assoluto è infatti utile solo quando
il paziente è in grado di protrarlo fino alla
crisi (finché la malattia, al suo culmine, venga
condotta) cap. 38.
Ne deriva quanto sostenuto nel capitolo ritenuto
interpolato: quando si passa dal digiuno
all'alimentazione si deve mutare il regime con
una alimentazione leggera (la tisana d'orzo) ed
il cambiamento non deve avvenire prima che sia
sopraggiunta la crisi (prima che la malattia sia
concotta) o prima che appaiano segni di
prostrazione (segni di vuotezza) o di reazioni
abnormi (segni di irritazione) indicanti che il
paziente non è più in grado di prolungare
utilmente il digiuno.
I danni possibili derivano quindi dalla
inadeguata e intempestiva ripresa
dell'alimentazione dopo il digiuno.
A volte si può essere costretti ad interrompere
il digiuno prima della crisi perché appaiano i
segni di "vuotezza" o "irritazione" prima del
sopraggiungere della crisi.
In questo caso la scelta del digiuno assoluto
all'inizio della malattia acuta è stata
inopportuna: il medico avrebbe dovuto capire che
il paziente non poteva digiunare fino al
sopraggiungere della crisi e somministrare fin
dall'inizio la tisana d'orzo.
E opportuno rendersi conto dell'errore
"ridicolo" somministrando subito la tisana,
piuttosto che far coincidere la ripresa con la
crisi, sommando così i pericoli che derivano dal
cambiamento di regime con quelli della crisi
stessa.
Inoltre, nel passo ritenuto interpolato,
Ippocrate afferma che nelle malattie acute si
"passa dal digiuno alle tisane".
Questo non vuol dire che il digiuno deve sempre
precedere le tisane (il che sarebbe sì in
contraddizione con l'affermazione che la tisana
d'orzo è più sicura in alcuni casi) ma
semplicemente che il mutamento nel corso della
malattia acuta è in genere digiuno-tisana. Il
mutamento opposto non era (o lo era raramente)
praticato.
Infatti chi prendeva la tisana fin dall'inizio
non passava poi al digiuno, ma di solito
continuava con la tisana per poi passare ad una
alimentazione più completata dopo la crisi.
I concetti espressi nel libro “Il regime nelle
malattie acute” vengono ripresi in alcuni
aforismi, (Gli aforismi, pag. 419, opera citata)
Riportiamo i seguenti:
(Aforisma N.8) “Quando la malattia è giunta al
culmine, allora è necessario valersi di una
dieta leggerissima.”
(Aforisma N.9) “Occorre indagare anche sul
malato, se con questo regime reggerà al culmine
del male: se cederà per primo lui stesso, e non
sopporterà il regime, oppure se il male cederà
per primo e si mitigherà.”
Qui Ippocrate ribadisce il concetto che il
“regime leggerissimo”, quello cioè che comporta
il minimo apporto di cibo compatibile con le
condizioni del malato, e che può essere quindi
un digiuno assoluto o attenuato( come ad es., la
tisana d’orzo) è utile se il malato saprà
sopportarlo fino alla crisi, fino alla
risoluzione della malattia.
(Aforisma N.13) “I vecchi sopportano assai bene
il digiuno, in secondo luogo gli uomini maturi,
pochissimo invece i giovani e meno di tutti i
fanciulli, specie quelli fra essi che abbiano
maggior vitalità.”
(Aforisma N.14) “Gli esseri in accrescimento
hanno il maggior calore innato, dunque
richiedono il cibo maggiore: altrimenti il corpo
si consuma; nei vecchi invece è scarso il
calore, perciò richiedono pochissimo
combustibile.” Osserviamo che l'aforisma n. 14
integra il n. 13.
ERASISTRATO
Erasistrato fu uno dei maggiori esponenti della
scuola di Alessandria, nel periodo in cui la
medicina, come le altre scienze, emigrò dalla
Grecia in Alessandria. Nacque nell'isola di Ceo,
nella Giulide, nel 330 A.C. dal medico
Cleombrato e fu nipote, secondo Plinio, di
Aristotele.
Erasistrato, secondo Celso, affermava che il
cibo non doveva essere dato al malato con
energie notevoli, ma era necessario
somministrarlo non appena le forze scemassero. E
ne deduceva che il medico dovesse vegliare il
malato con attenzione, per valutare queste
condizioni.
ASCLEPIADE DI BITINIA
Nacque a Prusa, in Bitinia, nel 124 A.C.
Studiò ad Atene, quindi ad Alessandria e dopo
aver a lungo viaggiato si fermò definitivamente
a Roma. Vi giunse all'epoca del proconsolato di
Pompeo ed inizialmente operò più come retore che
come medico. Plinio afferma che fu il desiderio
di guadagno che l'indusse a preferire
all'attività di retore quella di medico, con la
quale raggiunse il successo in virtù della sua
eloquenza, più che per la reale efficacia del
suo metodo.
Egli introduce nella medicina i principi
dell'atomismo presenti nella filosofia epicurea,
a quei tempi di moda a Roma, che nella sua parte
fisica si ispirava alla dottrina atomistica di
Democrito e Leucippo di Abdera.
Secondo l'atomismo la materia è formata da atomi
di diversa grandezza in movimento.
Anche il corpo vivente è costituito da
aggregazioni di atomi che formano pori
attraverso i quali si muovono altri atomi.
Quando la proporzione tra pori e atomi è
perfetta, il movimento si compie in modo
regolare e si ha la salute; in caso contrario la
malattia.
La malattia è determinata da un allargamento o
da un restringimento dei pori che alterano
l'armonioso movimento degli atomi tra i pori: la
terapia deve consistere in una azione opposta,
riportando l'equilibrio attraverso un
restringimento o un allargamento dei pori.
Questa dottrina atomistica introdotta da
Asclepiade in medicina, meccanicistica e
solidistica, si oppone alla teoria umorale.
La terapia, che doveva agire sulla struttura
fisica, era fondamentalmente una terapia fisica:
idroterapia, massaggi, unzioni, ginnastica,
passeggiate, dondolamento su amache.
Inoltre comprendeva sempre, nei primi giorni di
malattie febbrili, un digiuno completo, durante
il quale Asclepiade "non permetteva nemmeno di
sciacquarsi la bocca" (come dice Celso).
Con questi metodi egli affermava di poter
guarire "Tute, cito, iucunde"( in modo sicuro,
veloce e piacevole) e con questo "slogan"
manifestava l’abilità di retore che gli fu
rimproverata da Plinio.
TEMISONE
Allievo di Asclepiade fu Temisone, nato a
Laodicea, che fondò, in base all'insegnamento
del maestro, la Scuola Metodica, che fu una
delle scuole più seguite, insieme a quella
Ippocratica, fino a Galeno e anche dopo.
In base alle concezioni di Asclepiade egli
distinse uno ‘’status laxus‘’ (apertura dei
pori) e uno ‘’status strictus’’ (restringimento
dei pori).
La sua terapia, basata sul principio ‘’contraria
contrariis’’, tendeva a rilasciare lo status
strictus e a restringere lo status laxus.
Il digiuno serviva a rilasciare lo ’’status
strictus’’.
Inoltre Temisone iniziava qualunque terapia con
tre giorni di digiuno.
Le concezioni mediche di Asclepiade e di
Temisone ebbero una rifioritura nelle scuole
meccanicistiche del Rinascimento.
AULO CORNELIO CELSO
Cornelio Celso fu attivo verso il 25 d.C., non
abbiamo su di lui dati biografici esatti. Non fu
probabilmente medico, ma un enciclopedista di
qualche decennio anteriore a Plinio il
vecchio.
La sua vasta enciclopedia, intitolata le arti (Artes),
comprendeva agricoltura, medicina, retorica,
filosofia, giurisprudenza e arte militare. Della
vasta operosità di Celso, eccettuati i vari
frammenti degli altri libri, la tradizione ci ha
consegnato soltanto gli otto libri sulla
medicina (De medicina) che costituiscono l’unico
trattato medico dell’età classica romana e uno
dei più importanti documenti dell’arte medica
dell’antichità. Parla ampiamente del digiuno
nella sua enciclopedia.
Le argomentazioni di Celso sono assai simili a
quelle di Ippocrate.
L’autore sottolinea l’importanza di adattare la
durata del digiuno alle forze del malato e al
tipo di malattia. Nelle malattie acute il
digiuno potrà durare a lungo e sarà utile perché
sottrarrà “materia” e ridurrà così la violenza
della malattia; nelle malattie croniche il
digiuno non deve protrarsi, perché il malato
deve reggere ad una lunga malattia. Il digiuno è
il mezzo migliore e da solo sufficiente a
prevenire le malattie e ad impedirne l’esordio
in presenza di segni premonitori. Per quanto
riguarda la durata del digiuno, non si può dare
una regola certa: bisogna tener conto delle
forze del malato, del clima, della malattia e
fare in modo che la ripresa alimentare coincida
con la scomparsa o il declino della febbre. Per
valutare poi i giorni critici non ci si deve
affidare a semplici calcoli numerici, criterio
diffuso ma irrazionale, bensì alla osservazione
clinica. Anche dalla sua opera si può arguire
che il digiuno era molto diffuso ai suoi tempi e
utilizzato da famosi medici, come Asclepiade,
Temisone, Erasistrato.
Riportiamo i brani
più significativi di Celso sul digiuno. Anche
dalla sua opera si può arguire che il digiuno
era molto diffuso ai suoi tempi
Nel proemio del limbro primo, distingue i
cultori della medicina razionale, che ritengono
necessaria la conoscenza nelle cause prime,
dagli empirici che si attengono soltanto
all’esperienza e ritengono superflua o
impossibile la ricerca delle cause prime. Per
far un esempio di come gli empirici sostengono
di trarre dall’esperienza informazioni per la
condotta terapeutica,senza alcun bisogno di
ricorrere alle cause prime, fa l’esempio di
come, secondo le loro vedute, con la sola
esperienza si sia giunti alla utilizzazione del
digiuno come mezzo terapeutico e, in modo
analogo, si siano individuate le altre terapie e
si sia così sviluppata tutta la medicina.
Qui non interessa il
valore epistemologico del ragionamento ma il
fatto che l’osservazione portata ad esempio è
sull’utilità del digiuno: segno indiretto ma
evidente dell’uso abituale digiuno terapeutico e
della condivisione generale dell’opinione sul
digiuno come il rimedio esemplare.
In seguito, per fare
un esempio di come l’osservazione di
particolari, inerenti al luogo e al tempo,
debbono essere presi la considerazione nelle
prescrizioni mediche e nell’alimentazione in
particolare, fa ancora riferimento al digiuno.
Altre osservazioni
significative sul digiuno le troviamo, nel libro
1°, alla fine del capitolo terzo:
“Se per qualsivoglia causa debba taluno tenersi
digiuno, deve astenersi da ogni fatica...Non
conviene mangiar troppo dopo un lungo digiuno;
né dopo aver troppo mangiato tenersi troppo a
lungo digiuno... Quando si vuol mutare, bisogna
abituarcisi un poco alla volta”.
Come si vede sono
concetti presi da Ippocrate.
Nello stesso capitolo poco dopo aggiunge:
“Se talvolta si è durata fatica non essendoci
avvezzi, oppure molto più di quel che uno sia
avvezzo, allora conviene andare a letto senza
mangiare; massime se si abbia la bocca amara, o
la vista annebbiata o disturbi del ventre: nel
qual caso non solo conviene mettersi a letto a
corpo vuoto, ma rimanerci anche il giorno dopo,
salvo che il riposo abbia sollecitamente tolto
via ogni cosa...
Quello poi che navigando soffrì di nausea, se
vomitò molta bile, o deve astenersi dal cibo o
prenderne in piccola quantità; se rigettò delle
muccosità acide potrà prendere cibo, ma più
leggero del consueto: se la nausea non fu
accompagnata da vomito o deve astenersi dal
cibo, ovvero dopo il pasto procurarsi il
vomito...Per ciò che concerne le età, le persone
di mezz’età facilmente sopportano il digiuno,
meno i giovani, pochissimo i ragazzi e i molto
vecchi. Quanto meno uno tollera il digiuno,
tanto più spesso deve prendere cibo; e ciò
specialmente sulla crescenza.’’
Nel libro terzo
vengono descritte le cure delle varie malattie.
Il digiuno viene preso in considerazione in
numerose patologie. Riportiamo i passi più
significativi:
"Nelle malattie acute il malato va nutrito più
tardi, e solamente quando già il male declina,
cosicché la materia sottratta in principio ne
rompa la violenza; in quelle a corso lungo, più
presto, cosicché possa reggere al male per
quanto durerà".
In presenza di
“segni precursori della malattia” ecco quale è
il comportamento da tenere:
‘’Quando dunque
interviene alcuno dei segni indicati, il meglio
di tutto è il riposo e l’astinenza; per bevanda,
l’acqua: e ciò basta talora che si pratichi per
un solo giorno; o ancor per due, se le minacce
persistono: subito dopo l’astinenza, il cibo
deve essere scarso, e acqua per bevanda; il
giorno appresso, anche vino; poi,
alternativamente, un giorno acqua e un giorno
vino, finché ogni timore di minaccia sia finito.
In questo modo spesso si storna una grave
malattia che si preparava.
Molti poi s’ingannano quando sperano fino dal
primo giorno di levarsi subito da dosso la
debolezza o con l’esercizio, o col bagno, o con
un purgante, o col vomito, o col sudore, o col
vino. E non perché ciò talora non accada, ma
perché il più delle volte fallisce, e la sola
astinenza è rimedio e senz’alcun pericolo; molto
più che questa può regolarsi secondo la gravità
dell’apprensione: e se si tratta d’indizi più
leggeri, basta la sola astinenza dal vino, la
soppressione del quale giova più che lo scemare
il cibo; se un po’ più gravi, non solamente
bever acqua, ma anche far a meno della carne; e
talvolta diminuir la dose solita del pane, e
attenersi a un cibo umettante, specialmente
erbaggi: e quando sintomi più gravi minaccino,
allora astenersi affatto dal cibo, dal vino, da
ogni esercizio del corpo. Né v’ha dubbio che in
tal modo, usando avvertenza e facendosi per
tempo incontro al male, ben pochi
ammaleranno...
E questo devono fare i sani, che
semplicemente si credano minacciati. Viene ora
la cura delle febbri, malattia che investe
l’intero corpo ed è comunissima...
Nei primi giorni il malato deve esser tenuto in
astinenza dal cibo ed esposto alla luce diurna,
purché non sia debolissimo, poiché anche questa
scioglie gli umori; e va altresì tenuto in una
camera assai spaziosa. In quanto poi alla sete e
al sonno, bisogna tenere una certa regola:
cosicché nel giorno stia sveglio; dorma, se lo
può, nella notte; e né beva troppo, né troppo
soffra la sete.
Ne’ primi giorni
dunque va tenuto così. Medicamento ottimo è poi
il cibo dato a tempo: ma si domanda quando possa
cominciare a darsi. I più fra gli antichi lo
davano tardi; spesso al quinto giorno, spesso al
sesto; e ciò forse può comportarsi nell’Asia o
in Egitto, per ragione del clima. Ascelpiade
dopo che aveva per tre giorni in tutti i modi
spossato il malato, il quarto giorno lo
ammetteva al cibo.
Temisone poi, recentemente considerava non
quando la febbre incominciasse, ma quando
finisse, o almeno fosse alleggerita: e da quel
momento, aspettati tre giorni, concedeva subito
il cibo se la febbre non tornava; se tornava, lo
dava o quand’ella era finita, oppure, se
persisteva continua, quando almeno declinava.
Del resto, nulla v’ha, in tuttociò, d’assoluto:
perché può il primo cibo esser da darsi nel
primo giorno, può nel secondo, può nel terzo,
può non prima del quarto o del quinto; può dopo
un solo accesso, può dopo due, può dopo
parecchi.
Imperocché importa, quale sia la natura del
male, quale il temperamento, quale il clima,
l’età, la stagione; e con tutte queste
differenze, non si può stabilire una regola di
tempo assoluta. In malattia che più abbatte le
forze, il cibo deve darsi più presto: e così in
un clima che consuma di più; ond’è che in
Africa, non pare ben fatto che neanche un giorno
il malato stia senza prender nulla. Inoltre,
deve il cibo più sollecitamente concedersi ai
ragazzi che agli adulti, nell’estate che
nell’inverno. Quello che sempre e dappertutto si
deve osservare, è che il medico curante tenga
continuamente d’occhio le forze dell’inferno: e
se sopravanzano, vi contrasti con l’astinenza;
se avesse a temere la debolezza, sovvenga col
cibo. Perché l’obbligo suo è questo: non
caricare di troppa roba il malato, e non
rifinirlo col tenerlo a digiuno. Il che trovo
anche in Erasistrato... nel più dei casi, il
quarto giorno suol essere il più opportuno per
cominciare a prender cibo...
E sui giorni stessi
nasce poi dubbio; poiché gli antichi facevano
principalmente conto dei dispari, e li
chiamavano critici, come a dire decisivi della
sorte del malato. Erano questi il terzo, il
quinto, il settimo, il nono, l’undicesimo, il
quattordicesimo, il ventunesimo; con dare la
maggiore importanza al settimo, poi al
quattordicesimo, poi al ventunesimo. Pertanto il
cibo ai malati lo regolavano così: che
lasciavano passare gli accessi dei giorni
dispari, e il giorno dopo lo davano, come se
dovessero ritornare accesi più leggeri.
Asclepiade a ragione rigettò ciò come cosa vana;
e affermò in nessun giorno, o pari o dispari che
fosse, esser maggiore o minore il pericolo:
talvolta anzi esser peggiori i giorni pari, e
più opportuno dopo gli accessi di quelli il cibo
ai malati.
Talvolta, altresì, in una stessa malattia la
regola dei giorni si altera, o diventa più grave
quello che soleva essere più leggero...Anche
Ippocrate pone come gravissimo il quarto giorno,
per quei malati che sono per restar liberi al
settimo: dunque, anche secondo lui, può in un
giorno pari aversi, e più grave la febbre, e un
prognostico sicuro. Egli stesso, altrove, ha
come importantissimo, per qualsiasi esito, ogni
quarto giorno, cioè il quarto, il settimo,
l’undecimo, il quattordicesimo, il
diciassettesimo; passando così dal pari al
dispari, e neanche osservando cotesta regola,
perché dal giorno settimo, l’undicesimo non è il
quarto bensì il quinto. Donde apparisce, che con
qualunque ragione voglia considerarsi il numero,
non vi si raccapezza, stando a quest’autore,
nulla di razionale. Ma in tal maniera gli
antichi furono tratti in errore dai numeri
pitagorici,allora in gran voga,quando invece
anche qui il medico non deve contare i giorni,
ma osservare gli accessi, e da questi
argomentare quando il cibo sia da darsi.
Assai più importa
poi sapere, se convenga darlo quando il polso è
proprio tranquillo, o anche persistendo qualche
resticciuolo di febbre. Gli antichi
somministravano il cibo quando il malato era
affatto libero; Ascelpiade, sul declinare pur
della febbre, ma mentre durava tuttavia. Nel che
egli seguiva un criterio mal fondato: non perché
talvolta non si debba anticipare il cibo, se si
teme l’anticipazione del prossimo accesso;
sibbene perché bisogna darlo quando il malato
sta il meglio possibile, poiché ciò che
s’ingerisce in corpo ben disposto meno è
soggetto a corrompersi.
Le vedute di Celso
coincidono sostanzialmente con quelle di
Ippocrate. Per entrambi l’utilità del digiuno è
riconducibile alle seguenti azioni:
1) toglie forza al male: sottraendo energie al
corpo, attenua le manifestazioni patologiche
violente tipiche delle malattie acute.
2) determina un mutamento che si oppone e
riequilibra il mutamento che la malattia
determina rispetto allo stato di salute
3) nel corpo malato il cibo si corrompe e reca
danno: il digiuno evita questo danno
4) durante la malattia il corpo a digiuno può “concuocere’’,
cioè metabolizzare, gli umori in eccesso e
soprattutto espellerli al momento della crisi
senza essere da ciò distolto dalla digestione
che è ‘’concozione’’ degli alimenti. Durante la
digestione avviene infatti l’assimilazione degli
umori dei cibi e questo sottrae al corpo
energia vitale rendendo più difficoltoso il
lavoro straordinario di concozione ed espulsione
dell’umore in eccesso.
Il digiuno per questi motivi è indicato nelle
malattie acute e croniche in generale.
5) E’ indicato in modo specifico in tutte le
malattie dove prevale l’umido, perché il digiuno
secca il corpo, e in quelle in cui prevale il
caldo, perché inoltre lo raffredda. Quindi il
digiuno è indicato nelle malattie determinate da
un eccesso di flegma (umore umido e freddo) ma
in modo particolare in quelle in cui prevale la
bile gialla( umida e calda)
Nei loro testi sono
contenute inoltre le seguenti indicazioni e
considerazioni::
1) Se non si digiuna, il regime dovrebbe
avvicinarsi il più possibile al digiuno( es.,
tisana d’orzo filtrata con un panno di lino) e
in ogni caso l’alimentazione deve essere leggera
ed equilibrata.
2) L’errore maggiore è ri-alimentarsi, se si era
a digiuno, quando la malattia si riacutizza, in
coincidenza o all’approssimarsi del momento
delicato della crisi.
Solo se si dovesse accertare che il malato non
ha più riserve disponibili per prolungare il
digiuno è giustificato interrompere il digiuno
durante o in prossimità della crisi, per evitare
il grave rischio determinato da un digiuno
eccessivo per le capacità del paziente. Questa
eventualità è comunque legata ad un errore
precedente del medico: avrebbe dovuto capire fin
dall’inizio della malattia che il malato non
aveva forze sufficienti per digiunare fino alla
crisi, e quindi avrebbe dovuto non farlo
digiunare fin dall’inizio, ma limitarsi a
ridurre la dieta, somministrando ad esempio il
decotto di orzo.
In tutti gli altri casi bisogna aspettare per
rialimentarsi che la febbre declini o che la
crisi sia superata definitivamente.
3) Se non si era a digiuno, quello della crisi è
il momento per ridurre l’alimentazione fino al
digiuno o quasi.
4) E’ importate saper valutare la durata della
malattia e la capacità del paziente di
digiunare: se si pensa che possa digiunare,
avendone le forze, per tutta la durata, lo si
faccia digiunare; altrimenti è molto meglio non
farlo digiunare piuttosto che essere costretti a
rialimentarlo nei giorni successivi, prima della
crisi o addirittura al momento della crisi.
5) E’ un grande errore non far digiunare chi può
digiunare o interrompere un digiuno prima del
necessario, perché si pensa che le condizioni
generali siano compromesse a causa del digiuno,
quando invece è l’evoluzione della malattia a
prostrare il malato.
PLINIO IL VECCHIO
In altri testi latini vi sono riferimenti al
digiuno dai quali si evince che esso era
praticato e la sua fisiologia conosciuta.
Plinio il vecchio nella sua “Storia naturale” (
libri 28-32 che trattano di medicina e
farmacologia) pone tra i rimedi che dipendono
dalla volontà dell’uomo, al primo posto,
“l’astensione totale dal cibo e dalle bevande
(Plinio, Storia naturale, volume 4°, pag. 63,
Einaudi).
A onor del vero Plinio in alcuni passi della sua
opera ha una posizione fortemente critica nei
confronti del digiuno. Così nel libro 29 critica
la frequente imperizia dei medici e pone tra le
terapie utilizzate come espedienti per lucrare,
accanto ai bagni caldi, i digiuni seguiti da
ripetute somministrazione di cibo quando i
malati non hanno più forze (Plinio, opera
citata, volume 4° pag. 283).
GALENO
Galeno nacque nel 129 o nel 138 d.C. a Pergamo,
morì nel 201. Si affermò come medico a Roma,
dove giunse all’età di 33 anni. Scrisse dalle
400 alle 600 opere.
La sua dottrina è eclettica ma fondamentalmente
umoralistica: anzi è in realtà di Galeno la
dottrina umorale, che è appena abbozzata negli
scritti ippocratici e da Galeno fu elaborata,
perfezionata e ampliata.
La dottrina umorale ippocratico- galenica si
tramandò per tutto il medioevo, in particolare
con la Scuola medica araba e la Scuola medica
salernitana, ed almeno fino al secolo XVI.
Valgono quindi per Galeno le indicazioni e le
considerazioni sul digiuno fatte parlando di
Ippocrate e Celso. Egli sottolinea che il
digiuno, come il moto, la veglia, l’eliminazione
degli escreti, essicca il corpo. Potrà essere
quindi utilizzato per riequilibrare le discrasie
determinate da eccesso di umori umidi.(Galeno,
Arte medica, De Luca Editore, pag. 39.)
AVICENNA
Avicenna fu reputato il principe dei medici
arabi. Nacque nei 980 e morì nel 1037. Coordinò
le dottrine di Ippocrate, Galeno ed Aristotele
nella sua opera fondamentale, il Canone, summa
dello scibile medico, che venne considerato
come imprescindibile punto di riferimento fino
al Rinascimento ed oltre.
Nei suoi scritti vi sono riferimenti al digiuno
terapeutico: ad es. viene considerato un rimedio
contro il vomito oltre che nelle patologie già
precisate parlando della concezione umorale.
SCUOLA SALERNITANA
La patologia e la clinica della Scuola sono
basate sulla dottrina umorale.
Il “Regimen Sanitaris” della scuola salernitana
fu redatto intorno al 1100.
Le indicazioni del digiuno sono quindi, anche
per questa scuola, quelle di Ippocrate, Celso,
Galeno.
Come abbiamo già visto, secondo Galeno il
digiuno dissecca il corpo ed è indicato quando
si ha prevalenza di umori umidi (flegma e
sangue).
Nella Regola sanitaria salernitana si sottolinea
il fatto che il digiuno può essere inopportuno
d’estate, stagione calda che dissecca: le due
azioni nella stessa direzione potrebbero
determinare, se gli umori umidi non sono
sovrabbondanti, un eccessivo rinsecchimento.
Il digiuno, coerentemente con i presupposti
umorali, viene indicato in caso di reumi,
catarro, secrezioni delle vie respiratorie,
patologie in cui prevalgono gli umori umidi e il
corpo cerca di riequilibrarsi disseccando il
corpo con le secrezioni delle mucose.
ILDEGARDA DI BINGEN
Nel XII secolo Ildegarda di Bingen, monaca
benedettina e mistica, scrisse molti libri sulla
malattia e la guarigione.
Nel suo libro: “L’uomo nella sua
responsabilità’’ Ildegarda descrive 35 forze
psichiche negative che fanno ammalare e 35 forze
antagoniste che procedono dall’anima ed
esercitano un potere di guarigione sul corpo.
Ildegarda considera il digiuno un rimedio quasi
universale perché in grado di eliminare 29 delle
35 cause psichiche di malattia e capace di
liberare le forze di guarigione dell’anima.
Tra gli autori che
nelle loro opere fanno riferimenti al digiuno
ricordiamo ancora:
- Il filosofo Ruggero Bacone (1214-1294). Egli
consiglia il digiuno nel suo trattato “Come
ritardare gli inconvenienti degli vecchiaia”.
- Paracelso (1493-1541) medico e alchimista.
Indica nel digiuno un grande rimedio.
- Federico Hoffmann,
nato ad Halle nel 1660 e morto nel 1742. Fu
medico e chimico assai rinomato, insegnò
all’università di Halle. Fu autore di molti
scritti che vennero pubblicati in una opera
omnia tra il 1740 e il 1753.
Alla base delle sue concezioni vi è la teoria di
un fluido vitale universale che passa nel sangue
degli animali e degli uomini e dal sangue
viene estratto per azione del cervello e si
propaga coi nervi in tutto il corpo, costituendo
la forza vitale motrice.
Scrisse un libro intitolato ’’Descrizione dei
magnifici risultati ottenuti per mezzo del
digiuno nelle malattie’’.
Nel 1796 un professore dell’università di Mosca,
Peter Venianimov, scrisse: ’’Rapporto sul
digiuno come prevenzione delle malattie”.
Bibliografia
- Il DIGIUNO TERAPEUTICO, S. MAGNANO , pag.165
- L’EREDE di ADAMO ( Verso la salute con
l’igiene naturale), S. MAGNANO, pag. 55
- Il SEGRETO di IGEA (Guida pratica al digiuno
autogestito), G. Gazzeri, pag. 129
- FISIOLOGIA del DIGIUNO, L. LUCIANI, pag. 160
( Uno dei più grandi fisiologi italiani del
tempo studia il digiuno di 30 giorni portato a
termine da Giovanni Succi nel 1888 a Firenze.
Rarità introvabile. Solo fotocopiato e rilegato)
- A STUDY OF PROLONGED FASTING, F.G. BENEDICT,
pag. 450 ( Il grande fisiologo americano studia
il digiuno di 31 giorni portato a termine da A.
Levanzin nel 1912 a Boston . Rarità introvabile,
Solo fotocopiato e rilegato)
- Il DIGIUNO PUÒ SALVARVI la VITA, H. M.
SHELTON, pag. 310
- Il DIGIUNO per la SALUTE, H. M. SHELTON ,
pag. 297
vedi:
Consigli Alimentari
+
Crudismo
+
Vegetarianesimo
+
Vegetariani 1
+
Vegetariani
2
+
Germogli
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