Continua da:
Cosmologia - 1
"It
seems likely that redshift may not be due to an expanding Universe, and
much of the speculations on the structure of the universe may require
re-examination".
"Sembra probabile che il redshift non può essere dovuto ad un
Universo in espansione, e gran parte delle speculazioni sulla
struttura dell'universo possono richiedere un riesame" -
By Edwin Hubble, PASP, 1947.
La pentola vuota
Cosmologia e Filosofia della natura
sembrano aver coronato le loro millenarie ricognizioni: la materia
proviene dal nulla.
La chimica fondamentale dell'universo discende da una gigantesca fornitura
di idrogeno prodotta da nessuno ma a cui tutti possono attingere
pronunciando il termine magico "Big Bang". A partire da una
regione priva di dimensioni e tuttavia dotata di "densità" e di
"temperatura" infinite, questo abracadabra termodinamico si rinormalizzò attraverso le torsioni matematiche del super raffreddamento,
commutando infine le proprietà infinite in quantità finite.
E l'UniVerso
fu.
Puramente e semplicemente creato
(NdR: in realta' manifestato, ma non creato; fu solo reso
visibile dal
Vuotoquantomeccanico). Ci
voleva tanto ?
Ma non furono i quark, la radiazione, i fotoni o gli joni
pesanti ad accendere il fireball, fu la palla di fuoco proveniente
dal nulla a montare uno ad uno i suoi costituenti particellari. Occorre sempre ricordare che la "nucleosintesi primordiale" è
una conseguenza del
Big Bang, non la causa.
Struttura della materia,
costanti, leggi della fisica,
spazio-tempo e gravitazione sono dunque il
"residuo" imperfetto di una omogeneità perfetta, la cosiddetta
simmetria rotta, che accoppiata agli pseudoconcetti di energia positiva e
negativa consente di scrivere alla lavagna la prodigiosa formula
dell'universo a costo zero. Meno uno più uno uguale, zero. Nel
cilindro dei cosmologi è il coniglio venuto dal "nulla"
(NdR: in realta' il TUTTO), che materializza
cappello, prestigiatore e pubblico plaudente.
Una volta acquisito il miracolo e
agghindatolo con un lifting superluminale, la saga moderna della Creazione
si scrive da sola: se chiamiamo "tempo zero" l'attimo da cui
tutta la materia emerse istantaneamente da un punto che precedentemente
non esisteva, la fisica e la matematica sono in grado di compilare una
rispettabile scaletta già a partire dai "primi"
centomiliardesimi di secondo.
In quei momenti la temperatura iniziale
era già precipitata nel dominio delle quantità finite a circa un bilione
di kelvin e la sua densità ridotta "a soli" 1014
grammi per centimetro cubo. "Apparvero" fotoni primordiali che
trasportavano una tale quantità di energia da essere interscambiabili con
coppie di particelle e di antiparticelle che si annichilavano
reciprocamente restituendo fotoni estremamente energetici. Naturalmente
dovevano essere già presenti neutrini e "particelle esotiche",
mentre l'imbarazzante asimmetria attuale materia-antimateria si può
giustificare ipotizzando una lievissima inefficienza nei processi di
interazione, che alla fine avrebbe provocato una piccola ma fatale
eccedenza delle particelle rispetto alle antiparticelle. Quando
l'intruglio si raffreddò ulteriormente, i fotoni non avevano più energia
sufficiente per produrre protoni e neutroni, così le particelle e le
antiparticelle appaiate si annichilarono lasciando un residuo di materia
stabile. A quel punto (circa un centesimo di secondo dalla "fine del
nulla") solo le coppie più leggere formate da elettroni e positroni
continuavano a interagire nella danza con la radiazione.
Un decimo di secondo dopo, la
temperatura era scesa a trenta miliardi di kelvin e c'erano ormai solo
protoni e un terzo di neutroni: i neutrini smisero di interagire con la
materia barionica e si disaccoppiarono. Man mano che la temperatura
continuava a calare, presero a formarsi i primi nuclei di deuterio e tre
minuti dopo, con la temperatura "scemata" ormai a un miliardo di
kelvin, anche l'elio cominciava a conservarsi nonostante le continue
collisioni con le altre particelle.
Ancora sessanta secondi e un quarto dell'intero idrogeno si sarebbe
convertito in elio, ma ci volle un'interminabile mezz'ora per far
pareggiare il numero degli elettroni che si annichilavano con i restanti
positroni al numero dei protoni e produrre così la cosiddetta
"radiazione di fondo".
Occorsero poi trecentomila anni per
scendere a seimila kelvin e rendere i fotoni tanto deboli da non poter più
strappare elettroni dagli atomi, dopodiché la radiazione si congedò
dalla materia e l'universo poté raffreddarsi in pace, espandendosi
uniformemente e aggregandosi in una moltitudine di palle di gas ammantate
di "materia oscura" e poi di protogalassie, che recedevano come
sistemi indipendenti a causa dell'espansione "dello spazio".
Il
nulla si era totalmente commutato in materia, e il caso e la necessità
potevano finalmente sbizzarrirsi in una infinità di combinazioni da
alcune delle quali si sviluppò accidentalmente la vita e la
consapevolezza degli organismi più complessi.
Sociologia della conoscenza
Si può forse credere a
una favola così
greve a due sole condizioni: che dal nulla possa logicamente scaturire il
tutto e che l'universo osservabile stia realmente espandendosi a partire
da un punto di raggio zero materializzatosi circa quindici miliardi di
anni fa.
Se cade la prima condizione l'universo in espansione non è che
la trasformazione di uno stato fisico antecedente, se cade la seconda se
ne vanno la Creazione, il Big Bang, lo spazio che si espande e tutta la
cosmologia contemporanea.
Non meno sorprendente è l'immenso
credito che questa apparizione mariana ha riscosso nell'ambito della
comunità scientifica: di solito un paradigma si consolida attraverso la
costante verifica dei dati empirici, mentre qui, inaugurando un metodo che
non ha precedenti in tutta la storia della ricerca, si autentica una
creazione a partire dal nulla e se ne formalizzano le conseguenze in
termini di fisica nota e di matematica. E' la polpetta avvelenata lanciata
dai cosmologi contemporanei alla "età dei lumi": si inventa una
creazione dal nulla e si cercano prove indiziarie!
E' perfino ovvio che la soluzione del
Mondo, presentata ormai come una scoperta astronomica, è solo apparente e
che il suo contenuto di validità viene inesorabilmente relegato al di là
del primo invalicabile micromiliardesimo di secondo: "se niente in
astrofisica può prescindere dalla fisica nota - ha detto lo
"screditato" Fred Hoyle - allora il Big Bang deve essere
considerato al di fuori della fisica nota". La replica
dell'"apparato" è che "è molto meglio sapere tutto
dell'Universo a partire dall'istante 10-43 che non saperne
nulla", ma questo è il più vecchio dei trucchi dialettici
smascherato da Voltaire, che analiticamente equivale a: "meglio una
finta risposta che nessuna risposta".
Il dorato segreto consegnato dai teorici
alla comunità scientifica è dunque puramente e semplicemente "boh":
boh, ergo c'è stato un
Big Bang. E che altro può fare un biochimico, un
matematico, un naturalista, un epistemologo, un letterato o un ragioniere
che aspirano a formarsi un'idea più approfondita sul Genitore universale,
se non compulsare qualche ponderoso manuale di cosmologia ?
I più
introdotti possono tutt'al più contattare qualche eminente collega di
astrofisica dei piani superiori, che sistematicamente li rimanda al
"Big Bang" e al primo centomiliardesimo di secondo.
Ma se il più scettico dei biochimici o dei ragionieri si appella
all'onestà intellettuale degli specialisti della creazione, gli viene
immediatamente riconosciuto "che il
Big Bang è teoria,
non una
scoperta scientifica"; e se alla luce di questa ammissione ne deduce
che la "nucleosintesi primordiale" non è che una mera
congettura, gli zelanti "referenti scientifici" che operano nel
campo della comunicazione e dei media si affrettano a precisargli che
"in realtà il Big Bang è molto, molto di più di una semplice
teoria" e che i luminari sono "per natura" troppi
scrupolosi e modesti.
Nei fatti non c'è alcuna
interdisciplinarità, ma una struttura piramidale che continua a calare
modelli dall'alto e che giungono sui tavoli degli accademici
"sublunari" come conquiste della scienza. E' terribilmente ovvio
che non si possono affidare le chiavi del cielo ai ragionieri: ma i
cosmologi possiedono davvero queste chiavi?
Di fatto i cosmologi controllano la
fisica, la chimica, la biologia, l'epistemologia e perfino le osservazioni
al telescopio: ma chi controlla le affermazioni dei cosmologi ?
Non è
forse tramite il "Big Bang" che gli atei sono diventati "creazionisti",
che i credenti si sono mutati in "evoluzionisti" e che gli
scettici si sono estinti ?
Lo stesso intangibile Jacques Monod sarebbe oggi
costretto a rimaneggiare tutta la sua filosofia naturale nel concedere che
"l'immensità indifferente da cui siamo emersi per caso" deriva
in realtà da un numero fisso di particelle senza il quale né galassie né
cellule avrebbero mai potuto realizzarsi. Senza quel numero magico,
rigorosamente deterministico e non casuale, il Big Bang si sarebbe
spiattellato su se stesso o scivolato via fra le maglie del nulla, e
nessuna ironia sarebbe più irresistibile di un caso volontario sospinto
dalla sua necessità.
Non è forse vero che quando si
osservano ponti e filamenti di materia fra galassie con diverso
spostamento verso il rosso si devono sistematicamente invocare effetti di
prospettiva ed allineamenti accidentali lungo la nostra linea di vista
?
Non è forse vero che i jets o le propaggini gassose che li connettono non
possono che stare davanti o dietro nella profondità del
cielo a seconda del loro spostamento verso il rosso perché la relazione
di Hubble non è falsificabile ?
Non è forse vero che per tenere i quasar alle loro "distanze di redshift" si devono assumere luminosità ed energie che nessuna
fisica è in grado di avallare? E non è forse vero che per
"razionalizzare" gli spostamenti verso il rosso di lontane
supernovae bisogna presumere accelerazioni o rallentamenti radiali dello
spazio cosmico che si "dilata" ?.
Come portare questi epicicli grossolani
alla conoscenza o all'analisi critica di un medico, di un chimico o di uno
zoologo, e via via a un De Duve, a un Prigogine o a un Dawkins ? E come
consegnarli infine all'attenzione di un giovane laureato in fisica che è
stato appena assunto in un megagalattico acceleratore con il compito di
individuare le "pesantissime" particelle del
Big Bang ?
Da Galileo alla
materia oscura
I quasar sono connessi alle galassie.
Questa evidenza già segnalata da alcuni astronomi verso la metà degli
anni Sessanta ha continuato ad accumularsi ininterrottamente ed è
divenuta schiacciante con la messa in orbita di telescopi operanti nelle
bande delle alte energie, come il rosat, l'Einstein, il Newton e il
Chandra. Nell'indifferenza generale questi strumenti hanno rilevato che la
stragrande maggioranza delle sorgenti X e gamma (ULX) immerse nel campo
delle galassie sono state confermate spettroscopicamente come … quasar e
regioni HII ad alto redshift.
Una esaustiva raccolta di questi casi si trova ora nel recentissimo "Catalogue
of Discordant Redshift Associations" (Apeiron, Canada 2003)
dell'"incaponito" Halton Arp, che assieme ai coniugi
"brontoloni" Margaret e Geoffrey Burbidge, al
"rimbambito" (e defunto) Fred Hoyle e allo
"stravagante" Jack Sulentic hanno compromesso le loro
reputazioni cercando di confermare osservativamente queste connessioni
(vedi nota bibliografica).
Quasar spazialmente annessi alle
galassie significano puramente e semplicemente che l'assunzione
fondamentale della cosmologia è contraddetta dalle osservazioni e che la
relazione redshift-magnitudine apparente non riflette né una distanza né
una velocità. Significa sostanzialmente che la teoria del Big Bang è
inadeguata, che lo spazio che si dilata mantenendo ferme le galassie e
facendo recedere …le distanze è un "nightmare" geometrico che
ha paralizzato settantanni di ricerche della struttura cosmica, e che il
sogno tolemaico di chiudere la partita con l'intero universo si è di
nuovo dissolto.
Significa essenzialmente che le leggi
"note" con le quali affrontiamo la dimensione cosmica sono
chiaramente incomplete, che il libro della fisica è ben lungi dall'essere
ultimato e che gli assiomi di invarianza su cui poggiano le più celebrate
equazioni della natura sono contraddetti dai dati sperimentali. Significa
tecnicamente che le "righe" spettrali emesse dagli atomi che
costituiscono gli oggetti cosmici non vengono spostate da un fenomeno
cinematico equivalente all'effetto Doppler, ma che quelle righe si
trovano realmente alle frequenze e alle lunghezze d'onda osservate.
Nuova fisica dunque, nuovi isotopi e nuovi stati della materia. Ed è una
sfida straordinaria che dovrebbe esaltare e non deprimere i ricercatori
veri, moltiplicando l'immaginazione, la sagacia e il talento dei fisici
teorici che non hanno fatto poi un gran servizio alle leggi
"note" introducendo "energie oscure", particelle
"esotiche", "quintessenze" e "geometrie
accelerate" per salvare l'espansione dello spazio.
Se siamo ancora animati dal desiderio di
esplorare l'universo e non di omologarlo, non restano che due alternative
per intendere il fenomeno intrinseco dello spostamento spettrale degli
oggetti cosmici: trascurando l'effetto gravitazionale (effetto Einestein)
- che dovrebbe crescere sistematicamente dalla periferia al nucleo delle
galassie e dei quasar e che non è supportato dalle misurazioni
spettroscopiche - o gli spettri elettromagnetici rendono conto di nuove
varietà della materia, oppure sono una diretta conseguenza del loro tempo
di formazione, in pratica della loro "età evolutiva".
Nel primo caso avremmo nuovi isotopi e nuove costanti da catalogare e da
determinare, nel secondo masse variabili col tempo a partire dal momento
della loro formazione. In entrambi, evidentemente, una rivoluzione come
forse mai ci siamo trovati a fronteggiare.
La maggioranza è unanime nel rilevare
che questo equivale "a buttare la fisica nota che abbiamo tanto
faticosamente costruito", quasi omettendo che la parte di fisica
"nota" viene salvaguardata in cosmologia da almeno novanta parti
di fisica ignota, invisibile e trasparente allo spettro elettromagnetico.
Per gli eredi di Galileo, quando un pallone sonda veleggia nell'alta
atmosfera o un satellite artificiale viene immesso nello spazio
circostante per indagare un fondo uniforme di microonde che ci avvolge,
questa scansione è considerata "la testimonianza fossile del
lampo primigenio del Big Bang e la brillante conferma dell'esistenza della
materia oscura".
I barbieri di Baltimora -
M
82
Un piccolo blitz osservativo sarà utile
per integrare la discussione. La casististica sui redshift discordi,
oramai sterminata (vedi references), porterebbe cifre a sei zeri se la si
estende alle cosiddette "dispersioni delle velocità" e ai
"moti peculiari" delle galassie, che vengono spiegati perlopiù
con materie invisibili, "deviazioni di flusso" ed espansioni
asimmetriche dell'universo.
Per i fini che si pone questo articolo inserirò
solo tre casi nei quali la connessione dei quasar alle galassie è
direttamente coinvolta, e a cui ne aggiungerò alla fine un quarto dove un
giovane studente di fisica italiano ha avuto un ruolo determinante.
La prima immagine illustra le stupefacenti concentrazioni di quasar
individuati nel campo della "starbust" M 82 (3C 281), una
celebre e vicina galassia attiva molto luminosa anche in radio e nei raggi
X.
L'immagine è così eloquente da rendere infinitesima la chance di un
affollamento accidentale, ed è importante rilevare che i due
raggruppamenti si trovano sistematicamente sulle linee di emissioni X e in
radio che si diramano in direzioni opposte attraverso l'asse minore di
questa galassia esplosiva.
Fig. 1 - M 82 (da E.M. Burbidge et
al.) I quasar finora catalogati da Arp, i
coniugi Burbidge e l'italiano Stefano Zibetti (Astroph 0303625) sono
quindici (!) ma vi sono ancora altre sorgenti X candidate BSO da
esaminare. Una di queste, rilevata dal satellite ASCA vicina al centro di
M 82, suggerisce che possa trattarsi di un quasar colto nell'atto in cui
viene veicolato dal nucleo verso lo spazio esterno e del quale, secondo le
stime dei ricercatori, potrebbe essere rilevato strumentalmente un moto
proprio nel giro di una decina d'anni.
NCG
4319/MKN 205
La "goccia nera" della
cosmologia è il quasar Markarian 205. Venne trovato nel 1970 quasi nel
grembo della contorta spirale NGC 4319 da un astronomo armeno che
impiegava un piccolo telescopio Schmidt per selezionare oggetti dotati di
forte emissione continua nell'ultravioletto. L'americano D. Weldman ne
ottenne poco dopo gli spettri rilevando z = 0.006 per la spirale e z =
0.070 per l'oggetto Markarian, che in termini convenzionali di recessione
radiale corrispondono rispettivamente a 1.700 km/sec e 21.000 km/sec.
Arp esaminò immediatamente il sistema e
dopo un'esposizione di quattro ore al fuoco primario del riflettore di 5
metri del Palomar, trovò una connessione luminosa fra il quasar e la
galassia, all'interno della quale era anche distinguibile un filamento
sinuoso e ininterrotto più stretto. I due oggetti apparivano visibilmente
connessi.
Come ovvio la polemica divampò subito
perché un simile collegamento minava alla radice non solo l'inviolabile
assunzione che gli oggetti con spostamento verso il rosso molto diversi non
possono essere fisicamente vicini, ma tutta la cornice dell'espansione
cosmica. Vennero fatte prontamente circolare fotografie che non mostravano
il collegamento e Arp toccò i vertici della sua crescente impopolarità
quando, al Convegno d'Australia del 1973 mostrò ciò che qualsiasi
fotografo del cielo è in grado di fare, e che cioè è facilissimo
ottenere immagini senza mostrare le connessioni.
La conflittualità si mantenne altissima
fino a che Jack Sulentic alcuni anni più tardi, con le potenti risorse
dei grandi analizzatori di immagini del Jet Propulsion di Pasadena,
sottopose le migliori lastre ottenute col 5 metri del Palomar e col 4
metri del KPNO al vaglio elettronico, ottenendo un inequivocabile ponte
luminoso fra la galassia e il quasar di cui qui sotto riproduciamo
l'immagine.
Fig. 2 - NGC 4319/MKN 205 (da J.
Sulentic)
La questione sembrò finalmente risolta
e si cominciò tiepidamente ad ammettere che "in qualche raro
caso" fosse possibile ipotizzare un redshift anomalo di natura
ignota. Nel frattempo, col rapido progresso dell'astronomia amatoriale
vennero ottenute evidentissime fotografie del "ponte" fra il
quasar Markarian e la galassia, una delle quali, ottenuta nel 1998 dai
cieli d'Inghilterra con un telescopio di 50 cm di apertura (!!), sembra
davvero tagliare la testa la toro.
Fig. 3 - (D. Strange, 1998)
Ma in cauda venenum. Nell'ottobre
2002 un team di osservatori collegato alla NASA ha prodotto una fotografia
ottenuta dall'Huble Space Telescope e diramato un comunicato stampa nel
quale "si esclude l'esistenza di qualsiasi connessione" (Fig.
4). "Le apparenze ingannano" aggiungono i ricercatori dell'Heritage
Team parafrasando una precedente opinione di Isaac Asimov: "la coppia
è spaiata e separata nel tempo e nello spazio".
Se mi si perdona il riferimento, appena
venni a conoscenza della release chiesi a Daniele Carosati
dell'Osservatorio di Armenzano di produrmi la migliore stampa possibile
direttamente dal sito HST, l'appoggiai sul vetro di una finestra … e la
connessione apparve evidentissima! Quasi contemporaneamente Jack Sulentic
riprocessò l'immagine solo aumentando il contrasto e con lui
centinaia e centinaia di professionisti e di dilettanti che immediatamente
reclamarono l'esistenza del ponte.
Ebbi in seguito anche uno scambio
epistolare con gli astronomi Calvani e Marziani di Padova che avevano
preparato un articolo sui quasar per una rivista di astronomia in edicola
e a cui avevano allegato (inutilmente) l'immagine processata da Sulentic.
I due professionisti riconobbero
l'evidenza del filamento e si dolsero che la rivista in questione non
avesse pubblicato l'elaborazione fornita appositamente dallo stesso
Sulentic, ma mi precisarono che "l'interpretazione più plausibile
sembra quella di una caratteristica morfologica associata a Markarian 205,
probabilmente un ramo mareale casualmente orientato verso NGC 4319".
Naturalmente ribattei che il solo motivo che può indurre a respingere la
connessione è la discordanza di redshift, senza la quale il punto di
vista convenzionale invocherebbe immancabilmente la "fusione"
tra i due oggetti.
Figg. 4-5-6- (HST ed elaborazioni)
La magra consolazione fu in pratica
l'ammissione che i componenti dell'Heritage Team non guardavano con
sufficiente attenzione le foto che loro stessi pubblicavano, ma fu
l'analisi approfondita che ripetei personalmente sulle immagini originali
che mi lasciò perplesso. La foto è insolitamente molto buia ed è stata
ottenuta con tempi di posa del tutto insufficienti, mentre il filamento,
inquadrato dal sensore HST meno sensibile e solitamente dedicato alle
riprese planetarie, appare proprio nel canale blu come
"spogliato" delle sue informazioni primarie.
Mi rivolsi ad alcuni fra i migliori analisti d'immagine italiani - che qui
preferisco non menzionare - e tutti furono concordi nel riconoscere che il
"chip" era "deteriorato". Uno di essi mi scrisse
testualmente: "E' roba da barbieri, non da astronomi". Così
tentai una carta estrema, telefonando a un influente amico di Los Angeles,
un tempo "agnostico" ma oggi convinto "bigbanger", e
la sua risposta fu che sollecitare una nuova ripresa con la più
sofisticata camera ACS gli sembrava "un'idea bizzarra".
Attualmente, e con l'Huble Space
Telescope avviato alla pensione, la versione ufficiale è che il filamento
non c'è, e se c'è, è un ramo mareale di NGC 4319 che cade
accidentalmente davanti a Mrk 205, oppure un ramo mareale di Mrk
205 che si protende accidentalmente dietro a NGC 4319.
NGC 7603 A e B
Ovvero "lo strano" caso in cui
due galassie collegate da un braccio di spirale, ma con redshift discorde,
esibiscono due oggetti di tipo quasar all'interno del braccio stesso …
La storia di questa decisiva
configurazione affonda nello scorso millennio, e ha inizio una notte senza
luna del 1970 al Monte Palomar.
Nel corso di una survey su galassie
peculiari selezionate in precedenza, Halton Arp misurò gli spostamenti
verso il rosso in un sistema binario, che viene mostrato nella Fig. 7 in
una bella immagine ottenuta da Nigel Sharp e Roger Lynds. E' considerato
uno dei casi più sorprendenti di "redshift discordi" anche
dall'ortodossia, perché nessun astronomo di credo convenzionale si è mai
sentito di invocare apertamente l'accidente prospettico.
Il compagno
minore compare infatti perfettamente allineato alla fine del braccio di
spirale dell'oggetto più massiccio ma se si assume che lo spostamento
verso il rosso misuri invariabilmente la distanza e la velocità di
recessione, essi devono recedere rispettivamente a 8.700 e a 17.000 km/sec
e quindi trovarsi separati a enormi distanze nella profondità dello
spazio l'uno dall'altro. Questa connessione è così imbarazzante che
nessuno studio approfondito fu più effettuato dopo la scoperta di Arp, né
con i nuovi giganti costruiti a terra né col Telescopio Spaziale.
 |
Fig. 7 - NGC 7603 (N. Sharp e R.
Lynds) Nota a margine: nel descrivere questo
sistema Arp notò due condensazioni compatte all'interno del braccio di
connessione e auspicò che gli spettrografi di futura generazione
potessero ricavare ulteriori informazioni da questo caso stupefacente.
Terzo millennio: La Palma, Canarie,
un'altra notte senza luna, trentun anni dopo.
In una notte con seeing eccellente due
giovani astronomi spagnoli, Martin Lopez Corredoira e Carlos Manuel
Gutierrez con lo strumento di 2,6 metri del NOT (Nordic Optical Telescope)
al Roque de los Muchachos, riescono a procurarsi gli spettri delle due
condensazioni immerse nel braccio. E incredibilmente compaiono le tipiche,
compatte linee di emissione dei quasar con redshift di z = 0.391 per
l'oggetto angolarmente più vicino alla galassia principale e z = 0.243
per quello più prossimo alla compagna! Il mondo avrebbe dovuto fermarsi
almeno per un giorno, ma nessun referente scientifico della Big Science
riportò la notizia …
Ci sono altre notevoli condensazioni nel
campo di NGC 7603A: in particolare una molto interessante che si intravede
al "tip" di un braccio che incrocia quello principale e che si
volge in direzione opposta, e un'altra proprio all'uscita del nucleo a
poche decine di secondi d'arco dal quasar con z = 0.391. Ulteriori
indagini di Corredoira e Gutierrez hanno evidenziato altri oggetti ad alto
redshift (!) e i risultati sono in corso di pubblicazione (Astroph
0401147vl2004); ma le richieste inoltrate da due Istituti di Ricerca per
investigare a fondo il sistema con il telescopio orbitale Chandra operante
nei raggi X e con l'8 metri del VLT al Cerro Paranal sono state respinte.
Secondo una prassi consolidata gli
astrofisici più influenti hanno evitato di commentare la scoperta di
Corredoira e Gutierrez, ma un astronomo italiano associato
all'Osservatorio di Arcetri ha recentemente dichiarato su un mensile
"che una rondine non fa primavera (?) e che si tratta di un caso
statisticamente atteso che non prova nulla". "Entia non sunt
multiplicando praeter necessitatem" ammonisce citando Occam: e
considerato che c'è una chance contro una cifra di nove zeri di trovare
per caso una simile disposizione, è probabile che la massima non sia mai
stata citata tanto a sproposito.
"Ufficialmente", è l'ennesimo
allineamento prospettico di quattro oggetti scorrelati e separati nel
tempo e nello spazio, e poiché la galassia di primo piano deve ruotare su
stessa con tutto il braccio, i dottorandi in astronomia possono
esercitarsi fin d'ora a farlo scorrere circolarmente come la lancetta di
un orologio per ottenere il "jackpot" e per rendersi conto che
viviamo davvero in tempi straordinari.
Fig. 8 - NGC 7603 (da Corredoira e
Gutierrez)
Quasar nel Quintetto di Stephan
Nel momento in cui viene scritto questo
articolo, Eleanor Margaret Burbidge sta comunicando ad Atlanta, al
Convegno dell'American Astronomical Society, la scoperta di alcuni quasar
nel grembo di uno dei cinque componenti del Quintetto di Stephan.
Questo spettacolare sistema ad
interazione multipla è famoso anche per presentare forti discordanze di
redshift in due delle cinque galassie, alle quali poi è probabilmente
legata anche una piccola spirale che giace sul bordo esterno del gruppo (NGC
7320 c).
Fig. 9 - Quintetto e QSO (da "Coelum"
n. 70, 2004) Sestetto, Tripletto o Quartetto, il
Quintetto di Stephan raccoglie ormai da mezzo secolo una sterminata
collezione di opinioni contrastanti. Gli spettri dei quasari sono stati
ottenuti la notte del 2 ottobre 2003 allo spettrografo del 10 metri del
Keck dalla Burbidge e da Arp, ma la storia di questa ricerca che getta
nuova benzina sul fuoco ha una parte tutta italiana che merita di essere
brevemente riportata. Un paio di anni fa, il giovane Pasquale Galianni di
Taranto che fra le pause dei suoi studi di fisica si divertiva a
riprocessare le immagini HST del Quintetto, notò un paio di oggetti - uno
puntiforme e l'altro di aspetto nebulare - visibili ad alcune lunghezze
d'onda in corrispondenza di un jet che emerge circa 8 secondi d'arco a Sud
del nucleo della galassia di tipo Seyfert NGC 7319. Avvalendosi di una
mappa in alta energia ricavata da un'esplorazione della Professoressa
Ginevra Trinchieri con il satellite Chandra, Galianni stabilì
correttamente le corrispondenze con le controparti ottiche e coinvolse
nella ricerca Arp e Margaret Burbdige, che l'anno successivo furono in
grado di osservarli al Mauna Kea.
Gli ULX (sorgenti X ultraluminose) sono
diventati un "piatto" estremamente ambito per i ricercatori,
perché potrebbero localizzare buchi neri all'interno delle galassie sotto
forma di sistemi "binari", dove cioè la stella catturata dal
"mostro invisibile" comincia a spiraleggiargli vorticosamente
intorno rilasciando nella sua caduta una grande quantità di particelle
energetiche X e gamma.
Un piatto che tuttavia si è rivelato estremamente
salato, perché la maggior parte degli ULX finora indagati si sono
rivelati quasi esclusivamente quasar e regioni HII. Con giovanile
entusiasmo, ma basandosi purtroppo su incertezze di catalogo, Galianni
rivendicò il moto proprio di una "binaria" e così alla fine la
natura dell'oggetto da lui scoperta veniva forzatamente rimandata alle
analisi spettroscopiche che soltanto un grande telescopio avrebbe potuto
effettuare.
Ora, nell'imbarazzo degli stessi
educatori di fisica di Pasquale, il "quasar Galianni" risplende
al centro del Quintetto di Stephan, con z = 2.267 !
Fig. 10 (da "Coelum" n. 70,
2004) Cosmologia
classica al bivio
La triste vicenda di Herbert Dingle,
prestigioso e influente "lettore" di Relatività all'Imperial
College del South Kensigton e poi caduto in disgrazia per via delle
obiezioni che in seguito sollevò alla coerenza della Relatività
Ristretta e Speciale, dimostra che se di paradigmi si vive, di paradigmi
si può anche morire. E' stato provato che alcune sue eccezioni non
vennero formulate correttamente a causa di una "mal compresa" o
"non rigorosa" applicazione degli assiomi einsteiniani, ma
nessuno è mai riuscito a dimostrare - se non attraverso idealizzazioni di
natura geometrica - che il tempo e lo spazio possono realmente dilatarsi o
contrarsi.
Certo, i processi fisici accelerano o
rallentano in presenza di masse o di moti accelerati, ma è davvero il
tempo (o lo spazio) a possedere requisiti e qualità
"geometriche" intrinseche ? Siamo davvero in presenza di enti
naturali che si incurvano e si appiattiscono o ne esprimiamo una mera
analogia attraverso un artificio matematico ?
Spaziotempo curvo - come obbietta il fisico Tom Phipps - non è
precisamente una contraddizione in termini ?
Uno dei dilemmi più cruciali e
drammatici che la fisica e la filosofia del Novecento hanno consegnato al
nuovo millennio è proprio il contenuto oggettivo o illusorio di questi
"enti" e se la struttura geometrica ideata da Minkowski per
unificarli esiste realmente in natura o è un semplice espediente
operazionale. Una domanda davvero terribile dalla quale dipende in toto,
oltre alla fisica classica, la meccanica quantistica, il microcosmo, la
fisica dei buchi neri e l'avveniristica congettura delle supercorde.
Una domanda dalla quale dipendono il principio di causalità e i
"viaggi nel tempo", e quindi le sorti dei logici, dei filosofi e
degli scrittori di fantascienza.
L'incalcolabile contributo
epistemologico fornito da Einstein è stato di dimostrare che fra
misurante e misurato c'è un'indissolubile solidarietà, che spazio e
tempo "assoluti" non hanno alcun contenuto di oggettività e che
la "direzione" del tempo attraverso lo spazio può essere
definita solo dall'azione causale. "Lo spazio tempo - ha scritto
Einstein - non pretende di avere una sua esistenza propria, ma solo di
rappresentare una qualità strutturale del campo" e che dunque i
"coni di luce" o le "linee di universo" possiedono
un'esistenza puramente geometrica e non fisica.
Ma allora, in quale misura una fisica dello spazio-tempo per la quale gli
enti geometrici quadridimensionali sono la fisica stessa possono
sperare di rappresentare una descrizione realistica della natura ?
Poiché il sogno deterministico non
morirà mai, si fa strada l'idea che l'approssimazione alla "verità
fisica" compirà un ulteriore balzo solo quando le equazioni saranno
in grado di integrare un'irreversibilità causale che prescinda da ogni
espediente operazionale.
Il che in apparenza sembra impossibile, perché
la nozione di temporalità è indissolubilmente legata alla sfera di
intendimento degli esseri pensanti e transitori che percepiscono e
interagiscono con l'ambiente, e che poi, in definitiva, è ciò che li ha
prodotti.
La teoria della massa variabile di Narlikar e Hoyle che pure
offre qualche appiglio alla suggestiva possibilità di equiparare
l'universo a una sorta di entità riproduttiva di reminiscenza organica,
non sembra poter fare a meno di un tempo cosmico dal momento che la massa
delle particelle viene subordinata al tempo e ne è anzi una funzione
diretta. Ciò tuttavia è vero solo in apparenza, in quanto lo sviluppo e
la crescita di massa sono più sottilmente legati all'interscambio
particellare, o meglio alle particelle con le quali la protoparticella
appena "emersa" è in grado di scambiare interazioni e di
mutuare "gravitoni" in un raggio che da "zero" si
espande alla velocità della luce.
In questo quadro la massa di una particella è ciò che la massa stessa è
in grado di "vedere" o di scambiare in un orizzonte che si
dilata alla velocità della luce. Dopo un secondo è il prodotto di ciò
che ha incontrato in trecentomila chilometri, dopo un'ora è quel che ha
"mutuato" dopo un'ora luce e dopo un milione di anni è il
prodotto dell'interazione che è stata in grado di realizzare in una sfera
dal diametro di due milioni di anni luce.
Poiché - a rigore - le
propagazioni elettromagnetiche non dipendono dal tempo ma dalle loro
velocità di propagazioni, abbiamo una teoria della materia essenzialmente machiana che non dipende dal "Tempo" ma dagli effetti delle
propagazioni.
E' una situazione completamente nuova per la fisica, una situazione che in
termini grossolani equivale a dire che una massa è ciò con cui
interagisce dal momento della sua nascita. Che, ancora, non dipende dal
Tempo, ma da ciò che incontra e con cui interagisce.
E' una distinzione cruciale, perché una "bolla interattiva"
creata a massa prossima a zero e che si espande alla velocità della luce,
è anche funzione della densità circostante in cui appare e si
sviluppa.
Sembrerebbe inevitabile che un "punto" di creazione a m =
0 che emerga in una zona a bassa densità acquisisca massa a un tasso più
lento di un altro che venga a formarsi contemporaneamente in una regione
di universo ad alta densità.
Il formalismo matematico della
cosmologia a massa variabile è, come noto, un universo non in espansione
e a spazio piatto (euclideo) in cui:
m = m(t),
=
= 1 + z
e quindi Ho (costante di
Hubble):
Ho =
=  nella quale non compare un'ipotetica
variabile xo (densità dell'orizzonte) che tuttavia potrebbe
essere ricavata empiricamente da misurazioni spettroscopiche della
struttura fine e iperfine degli oggetti ad altissimo spostamento verso il
rosso (che secondo questa teoria sono considerati i più intrinsecamente
giovani).
Nuova fisica, evidentemente, variabilità
delle costanti, masse differenziate delle particelle, atomi ed elettroni
… distinguibili in base all'età. Una rivoluzione da far tremare le vene
ai polsi: che tuttavia dovrebbe costituire una sfida irresistibile per i
teorici e per gli sperimentali.
Forse le costanti fisiche che abbiamo determinato sulla terra - compresa
quella gravitazionale - potrebbero modificarsi se le trasportassimo in
blocco fra le spire di NGC 7603 ?
E' forse quest'idea più strampalata di quella che teorizza viaggi lungo
linee geometriche che conducono a tempi in cui il nostro DNA non era
ancora disponibile ? Questa è la sfida.
Nel frattempo abbiamo una cosmologia che
convive con la sua falsificazione osservativa, che rivela galassie
interagenti con redshift discordi in cui le più massicce sono
sistematicamente quelle con redshift più basso, dove i quasar cadono
sistematicamente vicini o sono addirittura immersi in quelle più attive,
dove sistematicamente getti e controgetti spettacolarmente collimati
riversano immense quantità di materiale energetico nei gamma, negli X e
in radio verso punti dello spazio circostante. Materia che cade fuori: fuori
e non dentro in un processo moltiplicativo continuato e palesemente riproduttivo.
Quanto tempo occorrerà per riconoscere
che i redshift non hanno a che vedere con la distanza o con la velocità
?
Quanto tempo ancora occorrerà agli astronomi per domandarsi perché i
quasar sono finiti lì, nelle vicinanze delle galassie ?
Quanti altri
"allineamenti prospettici" saranno necessari per archiviare la
sacra assunzione che ogni punto dell'universo deve trovarsi alla
distanza del suo spostamento spettrale ?
Si conoscono redshift a z = 4, 5,
6 e più, valori che per la cinematica classica corrispondono a quattro,
cinque, sei volte la velocità della luce e che vengono integrati con una
correzione di "estrazione relativistica" secondo la quale - e
per quanto alto possa essere z - il loro moto di recessione non può mai
superare la velocità della luce. E anche qui la domanda è: perché mai
questa "ovvia" correzione se la velocità effettiva di quegli
oggetti è di fatto sempre inferiore a quella della luce ?
La relazione di Hubble come relazione
di età
Il risultato più sorprendente delle
relazioni matematiche della massa variabile che abbiamo riportato è che
con queste si risolvono le altrimenti inspiegabili "anomalie" e
discordanze di redshift: più antico è l'oggetto osservato più basso
è il suo spostamento spettrale, più giovane è l'oggetto osservato più
alto è il suo redshift. Per oggetti della medesima età ma che si
trovano a distanze molto diverse, la differenza di redshift è prodotta
evidentemente dal solo lookbacktime, che esibirà uno spostamento
verso il rosso più alto rispetto all'oggetto che lo osserva a causa della
distanza spaziale che lo separa. E poiché nuova materia viene
continuamente a formarsi nell'universo, la determinazione delle distanze
per chi compie le misurazioni in base all'"età" del proprio
sistema di riferimento diviene un affar serio quando indicatori
indipendenti (cefeidi, nebulose planetarie, regioni HII, supernovae etc.)
non sono disponibili. L'omologazione dei quasar a compagni giovani poco
luminosi delle galassie (e che dunque verosimilmente non potrebbero essere
osservati alle più grandi distanze) rende automaticamente l'universo
molto più denso e contenuto e contemporaneamente le immense distanze a
cui ci aveva abituato la cosmologia dell'espansione si ridimensionano
drasticamente.
Occorreranno molti decenni di osservazioni per inquadrare
questo nuovo scenario davanti al quale, per il momento, la tentazione è
di identificare il Superammasso Locale con tutto l'universo osservabile.
Che cosa ci sia, e se si possa osservare strumentalmente qualcosa al di là
del Superammasso, è al momento una domanda pendente.
E' tuttavia sempre un notevole shock
ricordarsi che se guardiamo una galassia posta alla "breve"
distanza di 3,26 milioni di anni luce, ciò che vediamo risale a 3,26
milioni di anni fa, perché tanto ha impiegato quella luce partita dal
passato a colmare la distanza fino a "noi-ora". Se si tratta di
una galassia molto simile alla nostra, le equazioni della massa variabile
ci forniscono l'informazione che il suo spostamento verso il rosso era in
quel momento di un ordine che in termini convenzionali di "velocità"
ammonta a circa 45 km/sec di redshift positivo rispetto allo spettro di
riferimento. Ma 3,26 x 106 anni luce è uguale a 1 Megaparsec,
cosicché otteniamo una relazione redshift-distanza di circa 45 ±
7 km/sec per Mpc che è anche un valore abbastanza vicino a quello della
"long distance" con Ho = 52 km/sec per Mpc.
Così lo shock può perpetuarsi
nell'intuire all'improvviso che l'universo non ha alcun bisogno di essere
in espansione !
L'enunciazione rigorosa per la cosmologia alternativa di Arp e Narlikar è che per galassie che vengano a formarsi nello stesso
momento (cioè per galassie "coeve", qualitativamente simili
alla nostra) l'accordo con la convenzionale legge di Hubble è mantenuto,
ma che la relazione empirica spostamento verso il rosso - magnitudine
apparente è immediatamente risolta in termini di età e di luminosità !
Senza alcun bisogno di "dilatare" lo spazio, di imbottire
l'universo di materia "oscura", di attribuire ai quasar
luminosità prodigiose e di invocare sistematicamente accidenti di
prospettiva.
Rimandando ai testi della bibliografia,
possiamo qui concludere brevemente che la trasformazione statica della
soluzione di Friedman richiede operazionalmente due scale temporali, una
considerata dall'osservatore che è parte dell'età della sua propria
galassia, l'altra considerata da un osservatore in un sistema di
riferimento esterno.
Se dovessimo guardare un oggetto molto giovane da un
sistema molto più antico (come per esempio la nostra Via Lattea) la scala
temporale dei suoi processi fisici ci apparirebbe fortemente rallentata
poiché le masse delle particelle che lo costituiscono sono più piccole e
quindi tutte le oscillazioni - come orologi che ritardano - sono più
lente. Come dice Arp "il significato di queste due scale temporali è
evidentemente che dobbiamo vivere per un periodo lungo per poterci vedere
come gli altri ci vedono".
Dopo tutto la teoria della massa variabile è una teoria di "massa
crescente" in cui l'alto redshift intrinseco della materia che si
condensa nell'universo decade rapidamente man mano che l'oggetto evolve
fino ad azzerarsi o a volgersi addirittura in uno spostamento verso il
blu. Il destino ultimo della materia "evoluta" resta al momento
una questione aperta, affascinante quanto irrisolta.
L'ironia è rappresentata dal fatto che
se trasportassimo un cosmologo del Big Bang con il suo spettrografo e le
sue relazioni di distanze e velocità in un sistema neonato (ad altissimo
redshift intrinseco), questi sperimenterebbe un universo complessivamente
spostato nel blu. Ne dedurrebbe paradossalmente che viviamo in un universo
in contrazione, che forse a partire da uno stato di estensione infinita
sta franando su se stesso per produrre una singolarità di raggio
zero.
Un "big crunch", una "brama di unità" degna in tutto
e per tutto dell'immaginazione di Edgar Allan Poe, che realmente la
descrisse nel suo poema cosmico "Eureka" del 1848.
E' possibile un cambio in cosmologia
?
La cosmologia è una scienza
impossibile. Nessuno può dire che cos'è l'universo, se mai è
"cominciato", se mai "finirà" o se invece è il
prodotto di infinite trasformazioni. Ma possiamo decidere sperimentalmente
se i quasar sono connessi alle galassie e se l'interpretazione dello
spostamento verso il rosso degli oggetti cosmici in termini di recessione
e di dilatazione dello spazio è smentita dalle osservazioni.
I libri e gli atlanti di Arp sono noti
in tutto il mondo ma, soprattutto i primi, non facilmente reperibili:
l'edizione italiana di "Quasars, Redshifts and Controversies"
(1987) è praticamente introvabile mentre la traduzione di "Seeing
Red" (Apeiron, Canada, 1998) annunciata da quattro anni dalle
Edizioni Coelum sta ancora lottando con problemi di "brochure" o
di rilegatura.
Con il permesso dell'Autore, concludiamo
riproducendo il paragrafo finale di un suo articolo di una dozzina di anni
fa, pubblicato in italiano dall'Editore "Il Poligrafo" (1994)
[H. Arp, "Cosmologia: Una ricerca per il passato e per il
futuro", 1993].
"Se è corretta la teoria di un non expanding universe e in
creazione continua come ho ricavato in base ai dati dell'osservazione,
allora non può esserlo quella basata sulla comune credenza che l'universo
sia sorto da un big bang. Nasce così l'obiezione di come abbia potuto
essere così drammaticamente sbagliata l'immagine fondamentale
dell'universo che viene fornita da tanti decenni.
Ogni lettore o persona
interessata ai fatti dovrà, come ovvio, formarsi un'opinione in base ai
dati osservativi e alle argomentazioni che sarà in grado di raccogliere,
ma se il modello a creazione continua è quello corretto, la mia opinione
sul perché il Big Bang sia stato inculcato in modo così sistematico e
che i dati osservativi che lo confutano sono stati semplicemente
soppressi.
La mia esperienza è che i primi dati
contraddittori apparsi nel 1966 furono pubblicati puntualmente e
riscossero notevole attenzione, ma non appena le conseguenze cosmologiche
divennero chiare, fu sempre più problematico pubblicare e discutere le
osservazioni che minavano l'assunzione per la quale il redshift è sempre
e comunque un indicatore di distanza e di velocità.
Con i dati contrari che diventavano sempre più forti, referee e curatori
stabilirono semplicemente che non potevano essere corretti e bloccarono
queste comunicazioni. I comitati per la gestione dei grandi telescopi
furono pronti a considerare queste ricerche alternative come "prive
di significato" e non venne concesso ulteriormente l'accesso a quei
telescopi. Come inibitore particolarmente potente, perfino le promozioni e
in ultima analisi l'impiego vennero regolati sull'adesione alle visioni
ortodosse.
Se quanto detto è vero, è facile
capire come un'impostazione teorica non corretta possa essere custodita e
persino rafforzata con "scoperte" di materia invisibile,
geometrie "accelerate" e schemi sempre più complicati per la
formazione e l'evoluzione delle galassie. Come gli epicicli di Tolomeo,
ogni contraddizione della teoria poté essere reinterpretata come un
ulteriore abbellimento dell'assunzione che regola l'interpretazione dei
redshift extragalattici. Ma come il lungo periodo trascorso da Aristarco a
Copernico, non c'è al momento alcuna garanzia che le argomentazioni e i
dati reali, anche se esaminati, potranno aprire un varco nella massiccia
ortodossia istituzionalizzata.
Come si fa allora a decidere che cosa
sia "corretto"? L'unica possibilità di cambiamento è che il
pubblico interessato a questi grandi temi si convinca autonomamente e
individualmente circa ciò che è "corretto". Molte persone
tuttavia, anche fra gli addetti ai lavori, esitano a prendere una
decisione che indiscutibilmente presenta degli elementi conflittuali. I più
disponibili possono tutt'al più dire: "Gradiremmo maggiori dati e
maggiore discussione prima di decidere che cosa riteniamo sia
giusto". L'importante messaggio che reca questo articolo è che, se
le persone desiderano avere questi dati ulteriori e questa maggiore
discussione, dovrà essere compiuta una riforma assai difficile
nell'ambito accademico dell'astronomia extragalattica, della libertà di
indagine e di accesso alla comunicazione. Questa riforma mi sembra
attualmente così ardua e temeraria che sarei portato a supporre con
tristezza che solo attraverso coloro che cercano articoli come questo su
riviste non professionali, i singoli individui potranno man mano
consolidare un'opinione di massa che forzi un cambiamento nel modo con cui
è condotta questa disciplina così speculativa e controversa.
Mi sembra che la moltitudine crescente dei non professionisti e degli
appassionati che già comprendono questi argomenti contrari sia al momento
ciò che maggiormente può alimentare la speranza di condurci a una
revisione nella cosmologia e nella scienza, i cui effetti potrebbero
essere paragonabili a quella rivoluzione nella democrazia politica che fu
provocata dall'Illuminismo".
By
Halton Arp
 |
La radiosorgente doppia 3C 343.1. La coppia
galassia-quasar ha una separazione di 0,25"
(z = 0.34 per la radiogalassia e z = 0.75 per il QSO) e
risulta fisicamente connessa da materiale radio. (Radiomappa a 1.6 GHz di
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By Pasquale Galianni e Dott. Alberto Bolognesi -
[email protected]
Una
presentazione dell'autore dr A. Bolognesi, si trova nel
numero 2 di Episteme.
vedi:
INFORMAZIONE, CAMPO
UNIVERSALE e SOSTANZA - Campi MORFOGENETICI
+
Energia=Informazione=sostanza
Continua QUI:
Cosmologia - 1
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